Gay Erotic Stories

MenOnTheNet.com

Tanto Tempo Fa'

by Solitario


Tornando col pensiero a quegli anni oggi posso dire che "ero un ragazzo" ma allora, qui in Toscana, avrei dovuto definirmi "un giovanotto"... La guerra era finita da tre ani e io continuavo a vivere in campagna, nella stessa casa dove ero nato, da una saga contadina composta di piû nuclei familiari. Eravamo incatenati, solo per motivi di interesse, ad un vecchio nonno dispotico che gestiva i soldi di tutti. Era magro come un asceta, consumato dal tempo e dagli sforzi crudeli della sua condizione di mezzadro a vita. Mi piacevano i maschi, ormai lo sapevo da anni, ma non ostante fossi grande non avevo fatto ancora l'esperienza cruciale del contatto fisico con un uomo. Certo, mi ero fatto le seghe con gli amici intimi ma queste situazioni di estrema confidenza erano sottoposte al rigido principio secondo il quale ognuno manovrava esclusivamente il proprio uccello. Non capitava mai che ci si toccasse a vicenda, per paura di venir sottoposti ad una sorta di 'giudizio universale'. Infatti rischiavi di sentirti dire, perfino dal tuo compagno di sega: "Ti ho visto sai, mentre stavo sborrando mi guardavi allucinato. Allora ê vero: ti piacciono gli uomini, sei un finocchio". E da quel momento finivi isolato. Cosî l'unico nudo che potevo permettermi di ammirare in pace era quello di mio padre che all'età di quarantotto anni non era affatto male. Mi piaceva anche perchê non capitava mai che avesse l'uccello moscio anzi, glie l'avevo sempre visto in uno stato di semi erezione come se anche lui si portasse dietro tante voglie. Ricordo poi che ce l'aveva di una stazza rispettabile. "Nanni, copriti" gli diceva sempre la mamma, santa donna, ma nonostante l'esortazione muliebre lui forse, senza averne palese coscienza, imtuiva che vederlo cosî mi piaceva e non aveva mai voluto negarsi ai miei sguardi. Si giustificava dicendo:"Ma non vedi che ê ormai un uomo? Cosa vuoi che gli importi se mi vede?" Imvece mi importava moltissimo e pensando a lui finivo per farmi una tale quantità di bellissime seghe che, se l'avesse saputo, si sarebbe seriamente preoccupato per la mia salute. Nell'ambiente contadino e nonostante le fatiche del lavoro, a volte disumane ma certo provvide a sublimare le energie in eccesso, il pensiero del sesso era dominante. Gli uomini, di ogni età, in assenza delle donne trattavano di sesso continuamente, con un linguaggio triviale riscattato solo da un'ironia logorante e dal senso fatale della morte o forse solo dell'impotenza senile, che per loro era quasi la medesima cosa. La sera, per lavorare a veglia, giungevano da diversi poderi della fattoria per riunirsi in questo o in quel casolare dove, secondo il bisogno, si rendevano utili sgranando legumi o sfogliando pannocchie di grano turco e nel contempo i piû bravi erano intenti a sistemare nelle cassette la frutta che l'indomani sarebbe andata al mercato. E cosî, mentre le donne radunate in cucina dicevano il rosario gli uomini, da soli, finalmente parlavano. Racconti erotici di fantasia fatti credere per fissuti, confidenze delicate su fatti della propria famiglia, che avrebbero mandato in bestia le mogli se solo avessero saputo che se n'era parlato, episodi di libertinaggio talvolta esagerati, pettegolezzi crudeli che funzionavano da vere e proprie condanne. -"Lo sapete che Nando dà via il culo?" -"Ma via, che discorsi fai!? Non ci credo". -Allora chiedilo un po' a Giannino e senti cosa ti dice"... L'idea dell'esodo verso la città non aveva ancora preso forma concreta nella nostra mente e, in un circuito cosî chiuso, dove tutti si conoscevano, fra proibizioni manifeste e desideri non confidati, la pressione del sesso era talmente forte da indurre i piû motivati a tessere di nascosto relazioni che spesso valicavano i margini della tolleranza ambientale. Ma in fondo il sesso era l'unica loro inalienabile ricchezza e per praticarlo, vi assicuro, disponevano di strumenti bellissimi quanto semplici ed efficienti. Voglio raccontarvi, a proposito, un episodio che coinvolse anche un membro della mia famiglia. Da noi la produzione di ortaggi si faceva in un terreno lontano dalla casa poderale, perchê lî il suolo era adatto e c'era acqua in abbondanza per la presenza di un fossatello attivo anche in estate. L'irrigazione si praticava all'imbrunire, dopo il tramonto del sole per non bruciare le pianticelle. Una sera la mamma mi consegnô delle vivande avvolte in un grande tovagliolo; c'era il pan bagnato, colorato di cetriolo e pomodoro che emanava un forte odore di basilico; c'erano le salsicce crude, il pane e mezzo fiasco di vino. -"Porta la cena al babbo, stasera loro mangiano nel campo per finire di innaffiare". -"C'ê qualcuno con lui?" domandai. -"Si, c'ê Beppe di Papino che l'aiuta". Beppe aveva la stessa età del babbo, erano cresciuti insieme; nonostante fosse molto bello e corteggiato dalle donne (ma anche dagli uomini) non aveva mai voluto prender moglie. Per raggiungere la zona dell'orto bisognava fare una bella camminata lungo le viottole fiancheggiate dai grandi ciliegi ma il sole era già calato e l'aria si stava temperando gradevolmente. Ero molto contento, sollecitato dalla bella serata, e lo fui anche dipiû quando, arrivato a destinazione, cominciai subito a vedere in lontananza una scena che mi stuzzicô moltissimo: i due uomini si erano messi in piedi, fianco a fianco sul bordo del ruscello, e pisciavano insieme serenamente, ridendo con allegria come fossero tornati bambini. Magari facevano a gara a chi spediva piû lontano il getto di urina. Quando si accorsero che mi ero fermato alle loro spalle mi dissero perentoriamente di avvicinarmi e Beppe mi apostrofô: -"Non avrai mica paura dell'uccello di tuo padre. In fondo ê da lî che sei uscito!" -"Non ho paura" risposi con finta noncuranza, "glie lo vedo sempre". E cominciai ad apparecchiare le vivande sul tovagliolo che avevo steso sull'erba della viattola. I due si sedettero per terra incrociando le gambe e cominciarono a mangiare. -"Ora torna a casa" mi disse il babbo, "a quest'ora già ti aspettano per cena". Licenziato in questo modo, di lî a poco li salutai e mi misi in cammino anche se la curiosità di sentire i loro discorsi era molto pressante. Fu proprio per questo che, giunto ad una svolta della viottola, decisi di tornare indietro nascondendomi con l'aiuto del folto canneto che costeggiava il fossato. Arrivai vicinissimo ai due e, nonostante fosse ormai tenue la luce serale, li vedevo ancora molto bene mentre mangiavano rilassati conversando tranquillamente: l'allegria iniziale aveva lasciato il posto ad un sommesso colloquio confidenziale. Si porgevano la ciotola del cibo con gesto premuroso. -"Dai, finiscila tu" diceva mio padre passandogli una grossa salsiccia che maneggiava con ostentata passione. E Beppe raccontava: -"Lo sai che il pretino, quello nuovo, giovane, mi puntava l'uccello con lo sguardo domenica mentre mi parlava? Mi sono messo una mano in tasca e me l'accarezzavo per fargli capire quanto ce l'ho grosso: l'ho fatto morire!!" Ghignando un poco il mio babbo gli chiese: -"Ma... ti piace quel ragazzo?" -"No, ma deve avere tanta voglia. Se insiste ancora un'uccellata glie la dô. Tu che dici?" -"Io non lo farei. Chissà che culo bianco che ha!" e risero sgangheratamente. Quando si alzarono il babbo cominciô a raccogliere le stoviglie mentre Beppe beveva a garganella dal fiasco che teneva sollevato. -"Prendi, bevi anche tu". -"Aspetta, prima devo raccattare tutto; se manca una forchetta la Rosa mi bastona". -"Altro che forchetta", osservô Beppe, "potrebbe piuttosto bastonarti per quello che stiamo facendo noi due". Io non capivo ma continuavo ugualmente ad ascoltarli. Mio padre obbiettô: -"Colpa sua. In fondo ê lei che non vuole piû far l'amore. E io cosa devo fare? Di cercar qualcos'altro non ho neanche il tempo". -"Te l'avevo detto quando ti sposasti: non farlo, ê piû vecchia di te" rispose Beppe e riflettendo soggiunse: -"In fondo ê meglio cosî, almeno non facciamo torto a nessuno". Frattanto il babbo aveva finito di riordinare e beveva a sua volta dal fiasco. Fu in quel momento che Beppe lo avvicinô da dietro, lo strinse vigorosamente contro il suo corpo e gli appoggiô la bocca sul collo. Riuscivo a sentire il rumore del suo respiro appena affannoso. -"Aspetta, cosa fai?" disse mio padre e si chinô in avanti per posare il fiasco a terra. -"Cosa faccio? Approfitto del tuo inchino per tirarti giû le brache" e cosî dicendo gli slacciô la cinta dei pantaloni calandoglieli insieme alle mutande fin quasi ai ginocchi; poi ripeté l'operazione per se stesso. Il mio babbo lo lasciava fare ma quando sentî l'uccello di Beppe che lo puntava si protese indietro con le mani e, raggiunte le chiappe, lo trasse con forza verso di sé. Rimasero cosî, quasi immobili, palpitanti, per qualche minuto. Vedevo controluce la sagoma dell'uccello del babbo, tesa verso l'alto, che oscillava elastica nello spazio. Poi Beppe si staccô un momento per raccogliere poca saliva necessaria a facilitare l'amplesso ed entrô dentro mio padre dolcemente, per gradi, cingendolo con amore. Cominciarono a fluttuare nel buio. Come avrei voluto essere in mezzo a loro! Lî, da solo, ero già venuto due volte. -"Stai bene, Nanni? Ti faccio male?" -"No, no, avevi ragione. Ogni volta che lo facciamo mi piace dipiû". E cosî Beppe ogni tanto si fermava per brandire l'uccello del mio babbo e masturbarlo lentamente, mentre il respiro gli si faceva piû greve. Il mio nanni lo accompagnava con un sommesso mugolio che alla fine divenne un gemito intenso e represso. Di lî a poco mi accorsi che aveva varcato la collina del desiderio naufragando dolcemente nella valle del piacere; ora doveva aspettare l'amico, che non tardô a raggiungerlo con un finale quasi affannoso. Poi si calmarono. Si erano staccati e si abbracciavano forse baciandosi: peccato che il buio della notte non mi facesse vedere i loro begli arnesi fronteggiarsi mollemente, tenero ostacolo fra le pance calde di sudore. Non capivo cosa stessero mormorandosi ancora, mentre si rassettavano i calzono. Poi ad un tratto a voce alta: -"Ma dai, Nanni!Ora ti metti anche a fare il romantico? pensa piuttosto che domani sarai tu a farmelo". La risposta fu: -"Beppe, con te non si puô mai fare un discorso...sei una merdaccia!" E risero di nuovo a lungo in modo complice come non facevano mai quando erano a casa, mentre si allontanavano nel buio tra i filari del campo, verso un'altra zona da irrigare.

Solitario Suponac1@virgilio.it

###

1 Gay Erotic Stories from Solitario

Tanto Tempo Fa'

Tornando col pensiero a quegli anni oggi posso dire che "ero un ragazzo" ma allora, qui in Toscana, avrei dovuto definirmi "un giovanotto"... La guerra era finita da tre ani e io continuavo a vivere in campagna, nella stessa casa dove ero nato, da una saga contadina composta di piû nuclei familiari. Eravamo incatenati, solo per motivi di interesse, ad un vecchio nonno dispotico che gestiva i

###

Web-01: vampire_2.0.3.07
_stories_story