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Il treno dei soldati capitolo I

by Joshmilan


Era scesa la notte e l’oscurità avvolgeva la carrozza del treno. Pierpaolo, svegliandosi improvvisamente, guardò l’orologio a catena, aprendo la cipolla e fissando le lancette che indicavano le undici in punto. Erano passate tre ore da quando aveva lasciato Milano e una notte intera lo divideva dall’arrivo nella capitale. Era la prima volta che lasciava Como, dove era nato e cresciuto, per una città che non fosse Milano. Era elettrizzato dalla prospettiva di finalmente vedere e vivere lo splendore della Capitale.

Pierpaolo era un ragazzo dalla carnagione bianca, con i capelli scuri scuri e gli occhi incredibilmente azzurri. Occhi ingenui ma vispi, che trasmettevano l’intelligenza mitigata dall’inesperienza e dalla timidezza. Era palesemente uno studente, con quel viso dai lineamenti ancora così giovani e delicati, interessante e contraddittorio allo stesso tempo. La mascolinità e la maturità fisica ancora si dovevano appropriare di quell’individuo che pareva più un ragazzetto che un uomo. Richiuse la cipolla e dopo ripose l’orologio nel taschino. Dal finestrino non riusciva a scorgere neppure una luce in lontananza. Non c’erano molti passeggeri, in quel periodo. L’inverno stava avanzando rapido, pensò. Sorrise all’idea del clima romano più mite.

Immerso nei suoi pensieri, non si accorse nemmeno che il treno stava rallentando e dopo poco si fermò. Alcuni passeggeri scesero, altri invece salirono a bordo del treno. Tra questi, anche un gruppo di agenti della polizia militare, un corpo speciale creato dal governo fascista in cui erano raggruppati i fedelissimi del Duce. Essi indossavano divise grigio-verde, erano alti e possenti, con delle facce arroganti e da attaccabrighe. Pierpaolo guardò la lenta marcia dei soldati nel corridoio del vagone. Sprofondò nel suo sedile e cercò di addormentarsi. Non che avesse altro da fare, nell’oscurità e nella solitudine del viaggio: gli rimanevano per compagnia i suoi pensieri e i suoi sogni.

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Si risvegliò chiedendosi che ore fossero. Sentiva chiaramente la presenza di qualcun altro nella carrozza. Si stropicciò gli occhi e cercò di mettere a fuoco la sagoma che era distesa nel sedile opposto al suo. La luce filtrava attraverso la tenda che era stata tirata sul finestrino. Immediatamente riconobbe la divisa di un uomo della polizia militare. Era sprofondato nel sedile, quasi disteso, con le gambe allungate e divaricate. Gli stivali neri lucevano fievolmente. I pantaloni della divisa aderivano perfettamente alle gambe muscolose del soldato. La mano destra era posata sulla gamba, ed era fornita di lunghe e tornite dita. Salendo con lo sguardo Pierpaolo notò l’incredibile rigonfiamento, dovuto in tutta probabilità ai pensieri onirici del soldato. Immediatamente ne studiò il viso: era scuro di carnagione, con gli occhi e i capelli neri, e la barba incolta di un giorno o più. La bocca era leggermente aperta, e con irregolarità emetteva dei brevi gemiti.

Pierpaolo ne era affascinato: tanta mascolinità era tutto ciò che gli mancava e lo attraeva. Avrebbe voluto accarezzare la mano del soldato, baciargli il viso, sbottonargli la camicia e potersi strusciare contro il suo corpo possente. Avrebbe voluto sentire quelle grosse mani da toro sulle sue natiche. Aveva iniziato a fantasticare e il suo cazzo iniziò a fantasticare con lui. Pierpaolo era troppo spaventato per osare: cercò quindi di riaddormentarsi. Chiuse gli occhi e poco dopo camminava mano nella mano con il suo soldato scelto; immediatamente dopo dormivano abbracciati, anzi, il soldato lo abbracciava da dietro, cingendo il suo piccolo corpicino con le sue forti e grosse braccia. Sentiva il calore del suo largo torace riscaldargli la schiena e il respiro caldo dell’uomo sul collo.

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Riaprì gli occhi quando ormai la luce avvolgeva la cabina. Sorrise beatamente al ricordo del sogno, di quel bellissimo sogno in cui aveva incontrato quell’uomo perfetto, quando si rese conto che il soldato era proprio lì, di fronte a lui! «Buongiorno» disse. «Svegliato finalmente?» «Buongiorno» rispose Pierpaolo. «Che ora è?» «Le 10 in punto, saremmo dovuti quasi essere arrivati se non fosse per il guasto». Il soldato sorrise. «Meglio tardi che mai…» Pierpaolo continuava a guardare affascinato quello stallone che si era materializzato nella sua carrozza. «Arturo, piacere» si presentò il soldato. «Mi chiamo Pierpaolo»• Pierpaolo si passò una mano sui capelli e scusandosi s’incamminò verso il bagno.

Durante il breve percorso notò che molti soldati erano sparsi nelle varie carrozze. Ognuno di loro aveva cercato una carrozza vuota o almeno non affollata per poter distendere le gambe e cercare di dormire nonostante la naturale scomodità di un sonno in treno. Al ritorno chiuse la porta dietro di sé e si sedette, notando il sorriso compiaciuto di Arturo. Venne a sapere che Arturo era entrato a far parte della polizia militare perché non riusciva a farsi piacere il lavoro di contadino, nella campagna pugliese, e aveva trovato come alternativa la polizia militare. Arturo spiegò anche che molto presto aveva iniziato a rimpiangere le lunghe giornate spensierate nei campi. Pierpaolo invece spiegò come quel viaggio rappresentava per lui la prima avventura: quante speranze e aspettative aveva riposto in esso! Arturo gli aveva infine chiesto come mai viaggiasse da solo, e se avesse la fidanzata. Pierpaolo aveva imparato ad evitare la domanda: inventava scuse banali o semplicemente si dichiarava eterno sfortunato in amore, assumendo quell’espressione triste ma compiaciuta di chi è consapevole della propria sfortuna ma stoicamente ne tiene il passo. La realtà era però ben differente: a ventidue anni era ancora vergine, e mai aveva anche solo considerato il fatto di poter legarsi ad una donna. Gli piacevano gli uomini, specialmente quelli massicci e maschili come Arturo. Nonostante il fatto che Pierpaolo avesse risposto alla stessa domanda decine di altre volte, questa volta iniziò a sudare freddo. Si sentì impacciato: la mente impegnata a cercare la scusa adatta non riusciva a concentrarsi e non riuscì ad articolare una risposta. Arturo lo guardava con un’espressione quasi divertita, come se già sapesse la ragione di tanta esitazione. Gli disse, per tranquillizzarlo, che anche lui non aveva una donna, nonostante fosse molto più vecchio di lui, andasse ovvero verso i trenta e si sarebbe dovuto sposare da dieci anni ormai. Pierpaolo non stava neanche ad ascoltare, continuava a guardarsi i piedi. Era rosso per l’imbarazzo ed era sicuro che ormai Arturo avesse capito che Pierpaolo era un ricchione. Dopo qualche decina di secondi alzò lo sguardo, incontrando gli occhi del soldato.

Ci sono occasioni in cui non è necessaria alcuna parola per formulare un discorso: la comunicazione si realizza tramite altri mezzi e sensi: lo sguardo, l’elettricità nell’aria tra i corpi, i profumi animaleschi, impercettibili ma presenti e fatali, scatenati dagli ormoni di due persone attratte tra loro.

Cosa si dissero in quei tenui istanti di dolce e tremendo silenzio? Quali furono le parole non sussurate dall’uno ma accolte dall’altro?

Pierpaolo vide Arturo avvicinarsi al proprio viso. Le grosse mani del soldato gli cinsero la nuca e lo attirarono a sé. Le labbra dei due uomini s’incontrarono: neppure una scarica elettrica avrebbe potuto procurare così intensa tensione. Arturo aprì le labbra e cercò di inserire la lingua nella bocca di Pierpaolo, che era pronto per tutto quello che d’ora in poi sarebbe accaduto.

Mentre le lingue si cercavano, Pierpaolo sentì le mani di Arturo sulla sua schiena, che lo spingevano contro il suo petto. Oppose resistenza perché voleva aprire gli occhi, mettere a fuoco quell’uomo alto e robusto che lo stava baciando. Voleva capire cosa stesse succedendo, perché stesse succedendo proprio a lui. Voleva risposte certe alle tante domande, voleva capire l’irrazionale. Guardò Arturo dritto negli occhi, e lì trovò tutte le risposte che cercava: ecco perché tanti avevano scritto d’Amore. Ecco la ragione d’essere dei Catullo, dei Petrarca, degli Shakespeares. Arturo gli accarezzò le guance, a due mani. «Voglio baciarti ancora», disse. Pierpaolo era perso tra le labbra d’Arturo: non capiva più nulla, ogni contatto con il corpo del soldato gli mandava i brividi. Lo faceva impazzire sentire la pelle dura e appena ispida di barba dell’uomo contro la sua pelle bianca, morbida e soave. Avrebbe voluto rotolarsi con lui su un prato d’erba, baciarlo in ogni posto, abbracciarlo. Ma questi si staccò e gli indicò le sagome dei palazzi dal finestrino del treno: «stiamo arrivando. Tra qualche minuto dovremo scendere». Pierpaolo non riusciva a pensare a cosa dovesse fare. Voleva a tutti i costi Arturo. Pensò, stupendosi della propria determinazione, che avrebbe corso il rischio di essere scoperto in un amplesso in treno per godere di un minuto dell’amore del soldato. Ma Arturo gli disse di andare a sistemarsi, di non preoccuparsi ché l’avrebbe raggiunto nella sua camera verso l’ora di cena. Gli diede un veloce bacio sulle labbra e uscì dalla carrozza, salutando i propri commilitoni che erano sparsi nel corridoio.

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Poche ore lo separavano dal momento in cui avrebbe visto Pierpaolo. Le sue labbra soffici, i lineamenti affusolati, le mani delicate: al solo pensiero aveva un’erezione prorompente. Mai era successo che il pensiero di un dettaglio di una persona lo mandasse in delirio. Stava aspettando che il suo turno finisse, in un corridoio buio di un palazzone umido. Lo stare seduto certo non aiutava a concentrarsi su altre cose. Il pensiero sempre lì cadeva: a Pierpaolo, a stasera. Pensava al corpo del ragazzo ed era arso di desiderio: chiudeva gli occhi e immaginava di lentamente possederlo, in profondità. Il turno finalmente finì, Arturo potette uscire all’aria aperta e respirare boccate fresche che aggiungevano adrenalina al suo già agitato stato. Immediatamente si diresse verso la pensione in cui Pierpaolo alloggiava. Non riusciva ancora a pensare chiaramente a perché volesse così fortemente rivedere quel ragazzo. Aveva avuto alcune esperienze con degli uomini, anzi ragazzi, ma si era sempre trattato di un’esperienza strettamente confinata alla sfera sessuale, in cui Arturo li fotteva: si sfogava e basta, esattamente come se avesse scopato una prostituta. Non si era mai invaghito di questi ragazzi. Ma sentiva che qualcosa era cambiato.

Arrivò in Campo de’ Fiori e vide immediatamente la pensione. Una signora corpulenta stava al bancone e appena vide Arturo, in divisa, un’espressione di paura comparve nel suo viso. Arturo sorrise, cercando di mettere la signora a suo agio. Poi chiese di Pierpaolo. «Sta in camera, al terzo piano. Glielo chiamo o salite voi?» domandò la signora. Arturo disse alla signora di non disturbarsi, s’incamminò verso le scale e percorse i tre piani velocemente. Arrivò davanti alla porta e bussò. La camera pareva vuota. Ribussò e gli parve di percepire un lieve suono. Rincuorato, bussò una terza volta e questa volta sentì chiaramente dei passi e la maniglia girò: la porta si aprì e un ragazzo assonnato era in piedi davanti ad Arturo.

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L’incontro fu come una tormenta d’estate, con i lampi scatenati dall’attrazione degli opposti inclusi nei due uomini: la mascolinità dura, massiccia ed estrema dell’uomo in divisa e la bellezza dolce e femminile del ragazzo in vestaglia. Arturo appena vide il ragazzo provò una sensazione strana. Era venuto lì spinto da una forza animalesca, che significava, dalle esperienze precedentemente vissute, scopare a pecorina un culo, sentirsi l’uccello stretto in un canale caldo ed accogliente, spingere e sentire le chiappe contro il proprio addome e soprattutto sentirsi scoppiare dentro il culo o la bocca di un ragazzino, vederlo godere come una donna, annullare la mascolinità del ragazzo a sé stesso e per questo aumentare infinitamente la propria. Fu quindi stupito di questa nuova sensazione: l’interesse, l’attrazione fisica così intensa verso questo ragazzo. Le gambe del soldato tremavano dall’attesa. Stettero per qualche secondo a studiarsi, così, sulla porta. Uno di fronte l’altro. Poi Pierpaolo con la mano gli prese un braccio e lo tirò dentro la camera. A quel punto Arturo uscì da quello stato di trance in cui era caduto. Tutto ad un tratto era euforico. Come succede alle persone più semplici, Arturo seguiva con il cervello ciò che la pancia gli suggeriva. L’euforia era causata dalla sensazione di aver finalmente trovato quella persona che gli faceva battere il cuore. Egli aveva sì inteso che la felicità dell’Amore è la sublime realizzazione della vita, ma ancora non aveva ponderato gli ostacoli che, insieme, avrebbero incontrato.

«Sono contento tu sia venuto» disse Pierpaolo, guardando Arturo negli occhi. «Anche io lo sono. Ho fatto il prima possibile. Non mi sono neppure cambiato e sono venuto in divisa, come vedi». Arturo parlava velocemente, dando spiegazioni più a sé stesso che a Pierpaolo. «Vedo che ti sei riposato nel frattempo» «Si, ero stremato dalla notte in treno e dalle camminate per la città della giornata». A quel punto la porta era chiusa, e Arturo ancora prese l’iniziativa. Avanzò verso Pierpaolo che impercettibilmente stava indietreggiando, come spaventato dalla situazione, fino a quando lo raggiunse e le loro labbra si sovrapposero e iniziò un lungo bacio. Le lingue giocavano tra loro, e Arturò premette il suo corpo contro Pierpaolo. Sentiva che il cazzo era completamente in tiro e lo stava spingendo contro Pierpaolo, voleva fargli sentire quanto lo eccitava. Con le mani accarezzava il collo e le spalle di Pierpaolo, poi scese ai fianchi fino ad arrivare alle natiche. Lì si fermò a palpare l’oggetto primario del suo desiderio, un culo sodo e ben disegnato. Lo afferrò e lo spinse contro di sé. Doveva piegare leggermente i ginocchi e chinare il viso per baciare quella bocca morbida e invitante. Sentì che Pierpaolo appoggiò una mano sul suo torace, come per tastarne la durezza e la possenza.

A quel punto si fermò e si aprì la patta. Mise una mano sulle spalle di Pierpaolo e con forza lo spinse in ginocchio. Il viso del ragazzo era all’altezza della patta del soldato. Afferrandosi l’arnese con una mano, iniziò a massaggiarsi. Poi con l’altra mano avvicinò la bocca alla cappella e premette con il glande sulle labbra del ragazzo. «Apri la bocca» disse. Era un ordine. Arturo era un uomo ora e voleva essere soddisfatto dalla sua puttana. Nulla avrebbe potuto fermarlo. Pierparlo aprì la bocca ed immediatamente Arturo fece scivolare la sua grossa cappella nel caldo cavo orale. Sentì che il ragazzo muoveva timidamente la lingua. «Succhiamelo, e muovi la lingua, leccamelo» incitò il ragazzo con un altro ordine. Con una mano afferrò la nuca del ragazzo e iniziò a guidare i movimenti della testa. Lo muoveva avanti quando lui affondava e lo lasciava arretrare e respirare quando si ritraeva. Avanti ed indietro, lento ma inesorabile. Il movimento simulava una scopata, ed Arturo stava impazzendo. La vista delle labbra del ragazzo strette intorno alla sua grossa asta, la sensazione della lingua che svolazzava sulla parte inferiore del glande, i gemiti del ragazzo: la scena era così arrapante che lo spingeva ad aumentare il ritmo. La bocca calda e bagnata gli provocava un piacere infinito, avrebbe voluto andare avanti così all’infinito. Purtroppo sapeva che avrebbe potuto sostenere quel ritmo solo per qualche altro minuto. Inspirava profondamente per dare ossigeno al cervello, che era inebriato di piacere. Uscì completamente dalla bocca del ragazzo. «Alzati» era un altro ordine. Lo baciò, stringendolo a sé. «Spogliati, voglio vederti nudo» gli disse. Nel frattempo che ammirava il ragazzo impacciato ed intimorito spogliarsi, procedette a rimuovere la giacca e la camica della divisa. Indosso aveva ancora i pantaloni, aperti al pacco, da cui fuoriusciva un grosso uccello perfettamente in tiro e lucido di saliva e di liquido prespermatico.

Fece un giro attorno a Pierpaolo, ammirandolo. Poi si abbasso immediatamente sulle ginocchia, afferrò con ciascuna mano una natica del ragazzo ed iniziò a leccare il buco del ragazzo. Non aveva mai leccato il buco del culo ad un ragazzo, ma ora sembrava la cosa più eccitante e naturale da fare. Voleva umettarlo, allargarlo il più possibile. Sentiva che ad ogni colpo di lingua il corpo del ragazzo rispondeva con delle scosse, come quando si è percorsi dai brividi forti ed improvvisi. Gentilmente leccava i contorni del buco rosa, aiutandosi con le mani ad allargare le cosce. Poi iniziò a spingere la lingua dentro, e i gemiti di Pierpaolo gli comunicavano quanto questa pratica piacesse al ragazzo.

Arturo sentiva il suo cazzo in mezzo alle gambe scoppiare. Era durissimo: leccare il culo al ragazzo lo aveva fatto diventare marmoreo. Più lo leccava e più gli veniva voglia di scoparselo. Si distese sul pavimento e disse al ragazzo di sedersi sopra la sua bocca, e di scendere con la bocca verso il suo cazzo. Poteva farsi spompinare mentre continuava a leccare il buco e la cosa lo faceva impazzire. Capì quanto questo piacesse a Pierpaolo: più aumentava la pressione esercitata sul buco o la velocità delle leccate e più sentiva il ragazzo aumentare la velocità del pompino.

«Andiamo sul letto», disse infine a Piergiorgio. «è meglio che tu sia comodo per quello che faremo ora». Si distesero sul largo letto e si baciarono. Mentre si baciavano e si strusciavano finirono naturalmente uno dietro l’altro: erano entrambi stesi su un fianco, nella stessa direzione. Arturo aveva le mani sul culo di Pierpaolo e quest’ultimo con il viso girato baciava Arturo. Il cazzo di Arturo cercava disperatamente il buco stretto di Pierpaolo. Arturo si sputò in mano e spalmò la saliva sul suo grosso e duro cazzo. Poi ripetè l’operazione e bagnò ulteriormente il buco di Piergiorgio. Prese infine il suo cazzo e lo posizionò sul buco ed iniziò a spingere.

«Voglio essere tuo, voglio che mi possieda come una donna» disse Pierpaolo. «Si amore, ora te lo do, è tutto per te» con queste parole spinse con le anche verso Pierpaolo e affondò con la cappella dentro Pierpaolo che immediatamente scattò in avanti, anche se – data la posizione – non riuscì a muoversi di molto. Immediatamente Arturo afferrò il bacino di Pierpaolo e lo immobilizzò. Poi procedette ad impalarlo del tutto. Pierpaolo si lamentava del dolore. Arturo pensava che a breve lo avrebbe implorato di scoparlo selvaggiamente, e questo – se possibile – lo eccitò ulteriormente.

Quando arrivò a sentire le chiappe del ragazzo contro il proprio addome, spinse ancora, e poi si godette la sensazione fantastica. Il suo cazzo era stretto in un alcova calda ed accogliente. Tra le mani stringeva il corpo di un ragazzo che lo eccitava e mentre rifletteva su tutto ciò realizzò che non poteva non iniziare una cavalcata. Iniziò lentamente a muoversi nel ragazzo. Il suo culo era come il burro, morbido e caldo. Dopo qualche decina di secondi aumentò il ritmo, e sentì che Pierpaolo, ogni volta che lui affondava, indietreggiava con il culo, gli veniva incontro, e questo era un chiaro segno di godimento. Uscì dal culo del ragazzo e gli ordinò di mettersi disteso a quattro zampe. Procedette quindi ad incularlo come un cane con la sua cagna. Lo scopava senza pietà, selvaggiamente. Il ragazzo lo eccitava tantissimo, il sudore gli cadeva dalle tempie, e tutta la schiena era madida di sudore. Con le mani gli massaggiava le natiche, le apriva per potersi conficcare più in profondità. «Ti piace farti scopare dal tuo toro, eh?» Pierpaolo non rispondeva, il suo viso era come ipnotizzato dal piacere. Con colpi più lenti ma ancora più decisi e forti, Arturo afferrò il viso del ragazzo e lo girò verso di sé e ripetè: «Ti piace farti scopare dal tuo toro, si?»

Il ragazzo assentiva con la testa, con grossi ondeggiamenti causati dalla forza bruta del martellare cui era sottoposto il suo culo. Doveva reggergli le anche sennò sarebbe caduto, dalla forza bruta dello scopare.

Vedere il ragazzo godere e sentire lo sfintere chiudersi e riaprirsi intorno al proprio cazzo, mosso dagli spasmi del godimento estremo portò anche il soldato al punto del non ritorno. Quindi gli esplose dentro, con un orgasmo prepotente. Pierpaolo sentì i caldi schizzi dentro il suo culo. Ognuno di essi confermava la mascolinità del suo maschio. L’aveva posseduto come si possiede una donna, anzi come un animale possiede la propria femmina, ma sapeva che quell’uomo duro poteva essere dolce. Come a volerne dare subito conferma, Arturo senza uscire dal culo del ragazzo lo abbracciò e insieme si accovacciarono nel letto, baciandosi teneramente.

Così, insieme, si assopirono.

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Khaled

Erano le otto di sera e stavo tornando a casa dal lavoro: ero appena uscito dalla metropolitana e stavo aspettando l’autobus, quando lo vedo: seduto su una panchina, a fumare. È bello, molto bello, molto maschile, carnagione scura, sicuramente arabo, occhi nerissimi, grandi, dolci, buoni. Anche il viso è dolce ma maschile. Lo fisso quasi ipnotizzato da tanta mascolinità, e sento

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Web-02: vampire_2.0.3.07
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