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Il regalo di compleanno - Parte II

by Ferdinando Neri


Un libro erotico ê un libro erotico, insomma, non si scrive un libro erotico. Evidente, no? - Pietro, io non leggo nemmeno libri erotici, figurati scriverli! Semplice, chiaro, perfetto! Ferdinando era proprio contento di essersela cavata in modo cosî brillante. - Non leggi libri erotici? Nemmeno uno ogni tanto? Tanto per stuzzicare l’appetito… - No. Ferdinando non sapeva come proseguire: non poteva mica dire che leggere libri erotici era una porcheria, quando era evidente che Pietro li leggeva. Ci fu un momento di silenzio, poi Ferdinando riuscî a dire: - Pietro, non ho scritto io questo libro. Pietro annuî. Non sembrava molto colpito, neppure particolarmente stupito. Non insistette e Ferdinando gliene fu grato, almeno per i tre minuti successivi. - Non ê un problema. Comunque ê il mio regalo di compleanno, la dedica non puoi non farmela. Se si trattava solo di una faccenda di dedica, non era un grande problema: Ferdinando poteva benissimo scriverne una. Prese la penna che Pietro gli porgeva. - Va bene, che cosa vuoi che scriva? La domanda era bruttina, Ferdinando se ne rese benissimo conto: uno scrive una dedica, non se la fa dettare dall’interessato, come se non gli venissero le parole, aveva detto una cosa proprio poco gentile. Ma tra tutta la tensione per il libro ed i discorsi di Pietro, insomma, era un po’ frastornato. Adesso perô doveva correggersi e dire a Pietro che l’avrebbe scritta da solo. Prima che Ferdinando avesse fatto in tempo ad aprire bocca, Pietro aveva già incominciato a parlare: - Vediamo un po’, ti detto… A Pietro… Non poteva certo tirarsi indietro, ora, no? Non sarebbe stato cortese: prima gli aveva chiesto di dettargli la dedica, non poteva mica dirgli che adesso voleva farla da solo! Comunque quell’inizio, “A Pietro” gli sembrava freddo. Scrisse invece: “Al mio caro Pietro” A vederlo scritto cosî, non andava tanto bene, ma ormai era fatta. Pietro stava proseguendo: - … per il suo compleanno, con la speranza che gli venga qualche nuova idea… no, cosî non va bene… con l’augurio che il libro gli suggerisca qualche nuova idea… Ferdinando era un po’ perplesso, ma come al solito non voleva apparire sgarbato. E poi non c’era nulla di male a scrivere sotto dettatura, no? Se uno scrive quello che un altro gli detta, il responsabile del testo ê quello che detta. - … che magari possiamo… Ferdinando scrisse diligentemente. - … provare insieme. Ferdinando scrisse ancora “provare”, ma poi si fermô. Alzô la testa ed il ghigno di Pietro fu la conferma, peraltro ormai superflua, che la situazione era fuori controllo. La gratitudine che aveva provato per Pietro pochi minuti prima svanî (la gratitudine umana ha una durata molto limitata, come illustri pensatori del passato hanno spesso osservato). - Con simpatia, Ferdinando. Ferdinando guardô Pietro come se avesse parlato in giapponese (pronuncia della campagna intorno a Sapporo). La sua testa, sovraffaticata da una serata di eccessive richieste, si rifiutava di compiere il suo dovere. Era evidente che Pietro faceva fatica a trattenere una risata. - Non me lo firmi? Una dedica senza firma, ma non ti vergogni? Quanto a vergognarsi, Ferdinando si vergognava. Ma non per non aver firmato la dedica. - Su, non essere cosî mogio. Pietro si spostô sul divano in modo da avvicinarglisi, gli passô due dita sotto il mento, sollevandogli la testa china in avanti, e lo baciô sulla bocca. Il movimento era stato del tutto naturale e Ferdinando non realizzô bene quello che era successo, perché nel suo cervello si creô un vuoto assoluto. Pietro aveva allontanato leggermente il viso, ma, vedendo che non c’era nessuna reazione da parte di Ferdinando, lo riavvicinô e ripeté l’operazione, solo che questa volta, invece di limitarsi ad accostare la sua bocca a quella del nostro eroe, gli infilô con decisione la lingua tra le labbra, mentre gli teneva la testa tra le mani. Ferdinando avrebbe voluto dire a Pietro che non doveva fare cosî, che lui non era uno di quelli che Pietro raccattava a destra ed a manca nei locali o in sauna, che lui era una persona seria, che non aveva mai… La lingua di Pietro non gli permetteva di parlare e le mani di Pietro, che scendevano lungo il suo corpo, gli confondevano le idee (se ne era rimasta qualcuna). Quando la lingua si ritirô ed infine Ferdinando poté parlare, disse: - Pietro… La frase era chiarissima e Pietro l’interpretô a modo suo, baciando nuovamente Ferdinando ed incominciando a sbottonargli la camicia. Poi la fece scivolare via e passô ad accarezzargli con un dito i capezzoli. Ferdinando guardava Pietro che avvicinava la bocca ad uno dei suoi capezzoli, lo sfiorava con la lingua, facendolo sussultare, poi lo mordicchiava leggermente (nuovo, piû forte, sussulto), poi incominciava a succhiarlo. - Pietro… Mentre le labbra (ed i denti, ahi!) si davano da fare su un capezzolo e poi sull’altro, le mani di Pietro non rimanevano inattive. Una, sfacciata, si stava infilando nei jeans alla ricerca di qualche cosa che non ci mise molto a trovare. L’altra stava già armeggiando con la cintura e quando ebbe svolto la sua opera, le due svergognate si misero a lavorare in coppia ed in un attimo Ferdinando si trovô con i jeans completamente aperti ed abbassati. Tanto Pietro era ricco di iniziative, quanto Ferdinando era inerte, paralizzato da un misto di vergogna, paura ed altre sensazioni che non avrebbe saputo definire. E d’altronde la sua testa aveva tutt’altro da fare che definire che cosa stava provando. Rimase lî, teso sul divano. Non steso, teso: era rigidissimo. L’unico a non essere per niente teso era quello che nella circostanza avrebbe dovuto mostrare una certa rigidità, ma si sa, c’ê chi non collabora ed al momento buono si tira indietro. Ferdinando avrebbe dovuto lamentarsi per la scarsa collaborazione ai piani inferiori, ma dato che anche ai piani superiori battevano la fiacca, non poteva che prendere atto della totale disfatta. L’avversario aveva armi terribili, che avrebbero dovuto essere vietate dalla Convenzione di Ginevra: la lingua, i denti, le labbra, le mani. Armi letali, che Pietro usava senza pietà contro un nemico ormai sconfitto. In breve Ferdinando si ritrovô steso sul divano, completamente nudo (Pietro gli aveva anche sfilato i mocassini e le calze), con Pietro sopra di lui che lo baciava, ancora vestito (ma alquanto in disordine e chiaramente indirizzato anche lui verso un costume adamitico). A scuoterlo fu la comparsa di un’altra arma, ancora piû pericolosa delle precedenti, che ora emergeva dagli abiti sempre piû scomposti di Pietro: l’avversario era pronto ad un combattimento a fondo, mentre l’arma di Ferdinando non era utilizzabile. La situazione stava precipitando e Ferdinando si rendeva perfettamente conto che avrebbe dovuto darsi da fare: poteva allontanare Pietro con fermezza (ma come si fa, quando uno non riesce nemmeno ad alzare il braccio?), poteva mettersi a spogliarlo (prospettiva piû interessante, ma non c’era l’energia necessaria e poi tanto Pietro stava già facendo tutto da solo), poteva lasciare che Pietro prendesse l’iniziativa (cosa che Pietro aveva già fatto e non sembrava a corto di risorse per continuare lungo la strada intrapresa). Ferdinando decise che era ora di intervenire e disse: - Pietro… Pietro avvicinô la faccia (che un momento prima era contro il ventre di Ferdinando, perché la lingua titillava l’ombelico del nostro eroe) al viso del suo (gradito) ospite e lo baciô sulla bocca, rispondendo per le rime: - Ferdinando… Il dialogo, ricco e variato, avrebbe potuto proseguire all’infinito, ma ormai anche i neuroni poco attivi di Ferdinando stavano realizzando che la situazione era sfuggita di mano e che non era piû il tempo di rifiutare la paternità del libro o di cercare argomenti di conversazione. Quando Pietro gli passô una mano sotto il culo, facendogli scorrere un dito nel solco tra le natiche, Ferdinando ebbe la netta sensazione che la battaglia fosse perduta, perché gli sfuggî un gemito dalle labbra e se anche la sua bocca lo tradiva, che speranza c’era? Quando arriva il momento della disfatta, si sa, ê tutto un si salvi chi puô, un inchinarsi davanti al nemico ed accoglierlo trionfalmente, come fosse un liberatore. E cosî avvenne. L’inerzia che aveva bloccato ogni movimento di Ferdinando svanî e le mani di Ferdinando incominciarono a muoversi, accarezzando la schiena di Pietro, scoprirono felici che nella parte bassa di quella schiena c’era un bel culo robusto, pizzicarono senza pietà. La lingua intanto raggiunse ciô che aveva a portata: un orecchio, visto che Pietro gli stava passando al lingua sul collo. E, per completare il quadro di una resa senza dignità, anche l’arma fino ad allora inattiva di Ferdinando incominciô a drizzarsi e raggiunse rapidamente una posizione di tiro. Avvertendo una nuova pressione, Pietro mutô tattica e la sua lingua scese rapidamente dal collo, sostando un attimo prima su un capezzolo, poi sull’altro e piû a lungo sull’ombelico, fino a che raggiunse la meta ed incominciô ad accarezzare con delicatezza l’asta, percorrendola dalla base alla punta. Poi la lingua abbandonô il nuovo terreno di caccia (lasciando molti rimpianti, come succede spesso quando il conquistatore sa muoversi con destrezza) e scese piû sotto, stuzzicando le due sfere gemelle (quella di sinistra in realtà stava di solito un po’ piû in basso, ma in quel momento non si vedeva). Ferdinando mugolô, mentre le sue mani accarezzavano con forza la testa di Pietro. Pietro si mise a sedere sul corpo di Ferdinando, gli sorrise e gli disse: - Passiamo al letto? Stiamo piû comodi. Ormai ogni volontà di resistenza era da tempo annichilita e Ferdinando annuî. Pietro si alzô e Ferdinando stava per imitarlo, quando successe una cosa inaspettata. Pietro lo prese tra le braccia e lo sollevô, portandolo trionfalmente in camera da letto come lo sposo teoricamente fa con la sposa. Poi Pietro fissô Ferdinando negli occhi, gli sorrise e… lo lanciô sul letto. Prima che Ferdinando potesse riprendersi, Pietro gli fu sopra e approfittô della risata che scuoteva il suo avversario (ormai sarebbe piû esatto dire il suo complice), per voltarlo a pancia in giû ed assestare un deciso morso ad una parte tondeggiante che si trovô, del tutto casualmente, beninteso, proprio a portata di denti. Ferdinando emise un gemito, ma stava ancora ridendo e le sue difese (quali difese?) erano alquanto abbassate. Pietro ripeté l’operazione ed attaccô con una serie di morsi, ben calibrati, in crescendo ed in diminuendo (ecco un argomento di cui Ferdinando avrebbe potuto parlare con Pietro: la musica classica, ma forse ormai era un po’ tardi. Poteva conservarlo per la volta successiva). Poi le mani di Pietro si impadronirono delle natiche di Ferdinando, le strizzarono, le pizzicarono. Due dita sfrontate si infilarono nel solco e lo percorsero, poi fu la volta di un pollice sfacciato che si mise a tormentare un punto preciso. Il pollice scomparve ed un pizzicotto piû forte strappô un gemito a Ferdinando. Poi il pollice ritornô alla carica, un po’ umido, e quello svergognato si introdusse con delicatezza, ma senza esitazioni, là dove non era entrato mai nulla. Ferdinando sussultô. Ora aveva una certa paura. Il suo cervello aveva ripreso a funzionare ed ormai era chiaro che cosa sarebbe successo nella puntata successiva. Ma era tardi per correre ai ripari e Ferdinando non aveva davvero voglia di intervenire. In fondo se avesse incominciato la sua vita sessuale a 27 anni invece di 72, sarebbe stato solo uno scambio di numeri. Che importanza aveva? Nessuno avrebbe avuto niente da ridire. E tutto sommato 72-27=45 anni di vita sessuale in piû potevano non essere per niente male, se la faccenda era come quel pollice che avanzava e che ormai doveva essere per intero dentro. Le altre dita di quella mano svergognata accarezzavano, grattavano, stuzzicavano l’area sottostante ed il tutto aveva un effetto piacevole. Ferdinando sentî la voce di Pietro, appena un sussurro: - Che ne dici, ci mettiamo qualche cos’altro? Ferdinando si vergognava a dire sî, ma che cos’altro poteva dire? Un commento relativo alla musica classica, del tipo “A me piace molto L’uccello di fuoco, ma la Toccata e fuga no, non mi va bene” non era pertinente, avrebbe potuto essere frainteso. Perciô si limitô ad emettere una specie di sospiro, che Pietro interpretô liberamente (e correttamente) come una resa definitiva ed incondizionata. Il cassetto del comodino di Pietro si aprî (non per un telecomando nascosto, ma perché Pietro protese la mano), Ferdinando intravide una confezione di preservativi (ma chissà come mai Pietro teneva nel cassetto una confezione di preservativi? I medicinali non si tengono nell’apposito armadietto?), ci fu un rapidissimo movimento (Pietro sembrava essere molto allenato), una busta cadde a terra e poco dopo Ferdinando si sentî mordere una spalla, poi la lingua di Pietro gli passô sul collo, poi le mani di Pietro gli accarezzarono i fianchi, gli strinsero le natiche, gliele divaricarono, poi una mazza ferrata si fece avanti, trovô la porta d’ingresso (fino ad allora usata come porta di uscita, ma a ventisette anni uno puô rinnovarsi un po’, no?), entrô senza bussare, si spinse fino al limite massimo e si fermô. Ferdinando non avrebbe saputo esprimere quello che provava a sentire dentro di sé quell’arma calda. Un po’ di fastidio, ma anche una piacevolissima sensazione di pienezza. Pietro gli passô le braccia intorno al corpo, lo strinse, poi le sue mani lo accarezzarono a lungo, la testa, il collo, le braccia, i fianchi (lî non accarezzavano solo: pizzicavano, stringevano), le spalle. Poi Pietro ritrasse l’arma e la spinse di nuovo in avanti. L’attenzione di Ferdinando si concentrô di nuovo su ciô che avveniva in quell’area. Avanzata, ritirata strategica, nuova avanzata. Le manovre diversive (morso all’orecchio, lingua che scivola sulla nuca, pizzicotto alla natica destra, carezza sulla guancia) non lo ingannavano piû: il cuore dell’azione era altrove, in quell’area in cui l’arma spadroneggiava, in piena attività. La sensazione si essere infilzato come un pollo allo spiedo non era per nulla spiacevole. Tutta l’area percorsa dallo spiedo si stava riscaldando ed a Ferdinando sembrava effettivamente di stare raggiungendo il punto di cottura giusto. Il calore era piû forte del dolore che emergeva a tratti, quando le spinte diventavano piû decise. I colpi proseguirono a lungo, poi incominciô un crescendo, un po’ doloroso, ma alquanto stimolante, che raggiunse rapidamente il culmine. Pietro emise una specie di grugnito e si abbandonô su di lui, accarezzandolo con forza. Ferdinando sentî che la pressione al suo interno diminuiva, attenuando il dolore, ma gli spiacque il venir meno di quello spiedo. Poi Pietro, cingendolo con le braccia, lo forzô a voltarsi di lato e le sue mani incominciarono a stuzzicare l’arma di Ferdinando, che era già sull’attenti, ma reagî alla provocazione, tendendosi al massimo. La tensione crebbe rapidamente, sotto le carezze vigorose di Pietro, fino a diventare intollerabile. Poi Ferdinando sentî che il suo corpo era percorso da un’ondata violenta, che lo travolgeva. Gemette, tre volte, sempre piû forte, mentre il suo seme saliva in alto.

Prima che Pietro compisse gli anni, i due guerrieri si affrontarono altre due volte, cambiando tattiche e posizioni. Ferdinando non si limitô piû a subire gli attacchi dell’avversario, ma prese alcune lodevoli iniziative, cercando di mettere subito a frutto quanto aveva appena appreso. Il risultato fu soddisfacente per entrambi. Quando infine fu l’ora del compleanno, Pietro e Ferdinando stavano abbracciati sul letto, dopo che Pietro aveva ripercorso una strada aperta da poco tempo. Ferdinando sorrise a Pietro e, pensando all’accaduto, disse: - Tutto grazie a quel libro! Scosse la testa, ancora incapace di realizzare quanto era successo, poi aggiunse: - Spero che almeno ti piaccia. - Oh, sî, mi ê piaciuto parecchio. Ferdinando lo guardô senza parole (di nuovo), come se avesse parlato in giapponese (pronuncia dei pescatori di Okinawa). Poi riuscî a dire: - Vuoi dire che… l’hai già letto?! - Certo, ê un po’ che ê uscito. Quando mi hanno assunto e ti ho incontrato, ho pensato che fossi tu l’autore. - Cosa? Pietro annuî, ridacchiando. - Certo. Ero proprio convinto che l’avessi scritto tu. Mi sono detto: “Neri ê un cognome comune, anche Ferdinando non ê un nome raro, ci saranno un sacco di Ferdinando Neri, avrà pensato che era inutile cambiare nome, tanto solo uno che ê gay puô scoprire che esiste un romanzo erotico gay scritto da Ferdinando Neri ed anche in quel caso, chi puô dire che ê proprio lui il Ferdinando Neri in questione?” Allora un giorno ti ho chiesto della rivoluzione francese e quando hai detto che era un argomento che ti appassionava, mi sono detto: ê lui! Ferdinando, i cui neuroni avevano ripreso a funzionare a pieno ritmo, comprese i motivi dell’improvviso interesse di Pietro per la rivoluzione francese, quel giorno di qualche mese prima. - Ma hai pensato… Non riuscî a formulare in modo chiaro un pensiero che nella sua testa era molto confuso. Pietro interpretô a modo suo e spiegô: - Ho pensato che dovevi essere un tipo molto interessante e che certamente valeva la pena di provarci. Per preparare il terreno ho incominciato a raccontarti delle mie avventure, ma la tua reazione non mi convinceva. Ho incominciato ad avere dei dubbi. Intanto perô, frequentandoti e parlando con te, mi sono reso conto che mi piacevi, ti trovavo simpatico, anche piuttosto attraente. Ma tu non sembravi minimamente interessato a me e questo non riuscivo proprio a capirlo… insomma, come si fa a non interessarsi ad uno affascinante come me? Pietro ridacchiava, mentre lo diceva. Ferdinando era perfettamente d’accordo con Pietro, ma preferî non dirglielo. Si limitô ad inarcare le sopracciglia con aria alquanto dubbiosa. Pietro gli diede un buffetto sulla guancia e proseguî: - Poi questa sera, quando ti ho visto con il libro in mano, mi sono detto che era ora di lanciarsi. E direi che ho fatto bene, no? Ferdinando rise. - Direi proprio di sî. - Quindi ora puoi completare la dedica. Ferdinando riprese il libro ed eseguî: dopo “provare” scrisse “insieme, molte volte, con” e qui si fermô un attimo. “Amore” gli sembrava troppo, per il momento almeno, per cui optô per “affetto” e firmô. Dando il libro a Pietro, che scorse la dedica con un sorriso molto dolce, rifletté ad alta voce: - Quindi ti ho regalato un libro che avevi già. Che razza di regalo di compleanno! Pietro rise, poi la sua mano scese lungo la schiena di Ferdinando e gli accarezzô il culo, mentre un dito stuzzicava l’apertura. - Mi hai regalato qualche cosa di molto piû interessante di un libro che ho già letto. E conto proprio di farne un uso frequente e regolare. Non vorrai mica riprenderti il tuo regalo di compleanno, vero?

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