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Le regole del desiderio-VIII

by Galeazzo_45


Le regole del desiderio. Capitolo VIII Destini incrociati e l’adorazione.

Siiii papà. Per uno strano gioco del destino questo urlo uscî dalla bocca di due ragazzi contemporaneamente, ognuno all’insaputa degli altri e in un luogo diverso. Ma la situazione era la stessa, entrambi avevano provato il loro primo vero orgasmo, un orgasmo squassante che avrebbero ricordato per tutta la vita, non provocato dalle loro stesse mani, come ormai erano abituati a fare da qualche anno, ma dall’enorme cazzo di uno stallone che avevano dovuto ricevere nella parte piû intima e nascosta del loro corpo, un cazzo che li aveva aperti senza pietà, aprendosi la sua strada lento ma inesorabile nello stretto canale dell’amore che mai aveva ricevuto un’intrusione cosî violenta e inaspettata. Siii papà, avevano urlato, pensando che l’enorme piacere che provavano fosse dovuto all’organo che li aveva generati, anche se l’uomo che li stava penetrando non era il loro padre. Ma era bello pensare cosî, che fosse proprio il loro padre naturale a cogliere per primo il fiore nascosto tra le morbide natiche. *** Una volta giunto a casa, Rocco aveva portato Marco nella stanza del figlio, ma già mentre apriva la porta di casa lo stringeva a sé, cercando di consolarlo dalla grande delusione di aver visto il padre, Alberto, farsi fare un bocchino dal suo migliore amico, Simone. Capisco quello che provi, diceva Rocco, mentre lo stringeva sempre di piû, ma non devi farci troppo caso…tra uomini succede, sai com’ê, quando ci tira dobbiamo accontentarlo, se no stiamo male. Anzi, per farti passare la delusione, non c’ê niente di meglio che anche noi facciamo la stessa cosa.. vedrai, ti piacerà. Dicendo questo, Rocco fece scendere la mano sul culo di Marco e incominciô a palparlo senza molto ritegno. Marco lo guardô perplesso e poi chiese incredulo: Perché, pensi che si siano spinti anche a quello? Rocco rise e disse: Mi ci gioco i coglioni che lo stanno già facendo. Vedi, ti confesserô una cosa: io, Alberto, Maurizio e John siamo grandi amici, siamo sposati e abbiamo quattro figli maschi che sono il nostro orgoglio; ma ci piace divertirci con questo- e nel frattempo si toccô il grosso pacco che gli gonfiava il davanti dei jeans- e non c’à niente di meglio, per un uomo nel colmo delle sue forze e dei suoi appetiti , di sfondare il culetto vergine di un ragazzo della vostra età. Ora, per un tacito accordo si era stabilito che nessuno dei quattro avrebbe toccato il figlio di un amico, ma siccome Alberto ê stato il primo a rompere il patto, ora possiamo divertirci senza remore. D’altra parte so per certo che mio figlio mi spia mentre faccio la doccia, si infila oggetti su per il culo e, insomma, non vedeva l’ora di prenderlo da un uomo vero. Ma noi non saremo da meno, che ne dici? Quindi.., ora sai cosa ti aspetta e voglio che ti comporti da uomo, anche perché dopo un po’ di dolore iniziale, mi ringrazierai e me lo chiederai ancora, lo so per esperienza. Cosî dicendo portô la mano di Marco sul grosso bozzo e la premette forte; poi disse: Dai, inginocchiati, incomincia a conoscerlo. Marco era un po’ intimidito dalla stazza dell’uomo, un autentico armadio di muscoli e peli, ma sentiva l’uccello diventare sempre piû rigido e, cosa piû importante, non pensava piû a quello che aveva visto nell’officina del padre. Rocco non sembrava impaziente e soprattutto voleva educarlo in modo da dargli e prendersi il massimo del piacere. Spogliami, disse l’uomo. Marco incominciô a slacciargli i bottoni della camicia e quando fu in presenza del magnifico torace completamente ricoperto di peli, incoraggiato dal’uomo, incominciô a leccarlo lentamente, soffermandosi soprattutto sui rosei capezzoli che a mala pena riuscivano a sporgere dalla selva che si infittiva sui pettorali, aspirando il magnifico odore di sudore che emenava, che gli ricordava i momenti della lotta con suo padre. Poi passô ai jeans, e qui, dopo avergli sfilato la cintura, con mano un po’ tremante si mise a sbottonarli, lasciando in bella vista il grosso bozzo che ormai tendeva gli slip all’inverosimile. Lo spettacolo che gli si parô davanti quando gli tirô giû gli slip aveva dell’incredibile, con il grande cazzo ormai teso allo spasimo che svettava sa una folta selva di peli pubici, mentre i coglioni, grossi come palle da tennis e anch’essi pelosissimi completavano la magnifica esibizione di virilità. Con un gesto semplice e preciso Rocco se lo scappellô, lasciando in bella vista l’enorme cappella paonazza, con una goccia di liquido pre-spermatico che già faceva capolino dal meato. Il soave fetore che emanava, quello tipico di un uomo forte e sano, funzionô da afrodisiaco per Marco, che de lo ritrovô duro come non mai. Allungô allora la lingua, in modo da leccargli la grossa goccia che lacrimava dalla punta della cappella e si preparava ad aprire la bocca per ingoiarla, quando l’uomo, un po’ bruscamente gli impose di voltarsi e inginocchiarsi sul letto. Marco chiuse gli occhi e si si sentî perduto quando la grossa cappella dell’uomo trovô il suo stretto e roseo buchino. Udî Rocco che si sputava sul cazzo e che gli apriva l’ano, prima delicatamente, con un dito, poi con due e che gli diceva dolcemente di rilassarsi e di spingere in fuori come se stesse cagando. L’inserimento avvenne all’improvviso e Marco si sentî morire, ma strinse i denti pensando che quella era la giusta vendetta nei confronti del padre e del migliore amico; in seguito, mentre l’uomo lo fotteva con lunghe, voluttuosissime spinte, la testa gli veniva spinta in avanti e poteva vedere i poster che Simone aveva appeso alla parete sopra il letto, con il giocatore di calcio preferito e la band che piû amava: le piccole soddisfazioni di un ragazzo che ormai stava subendo anch’egli la prima, dura lezione di sesso, da parte del padre del migliore amico. Nell’officina di Alberto, infatti, dopo circa venti minuti di pompino, Simone era stato messo a carponi spora un torchio, e Alberto, senza molti premboli, dopo essersi unto con il grasso che usava per le macchine, glielo aveva messo in culo fino ai coglioni. Al contrario di Rocco, che usava un tono paterno e dolce nei confronti di Marco, Alberto, accortosi che l’apertura non era cosî stretta come si era immaginato, stava trattando Simone come un’autentica puttana da strada, riempiendolo di oscenità e bestemmie e spingendo come un ossesso, senza alcuna pietà. Poi avvenne il miracolo e i due ragazzi, contemporaneamente, si trovarono ad esclamare le parole che avtrebbero voluto dire ai loro padri, perché era il loro cazzo che aveveno sempre desiderato, era la sborra che li aveva generati che volevano sentirsi spruzzare nelle viscere. ***

Nella splendida sagrestia affrescata del Convento del Divino Amore, tutto era pronto per la oscena e turpe sceneggiata che Padre Ettore aveva organizzato. Già un’ora prima aveva fatto bruciare l’incenso e intonare ai coristi il “Veni creator spiritus”, perché voleva che la cerimonia pagana che aveva preparato, che altro no era che una libidinosa adorazione del fallo, avesse tutta la solennità di una grande festa religiosa. I 5 ragazzi scelti per la premiazione erano già inginocchiati al centro della sala, in attesa dell’arrivo del muscoloso poliziotto che avrebbe soddisfatto le loro curiosità e brame segrete, mentre Padre Ettore, nascosto dentro un confessionale molto vicino alla scena che si doveva svolgere, aspettava in silenzio e con notevole emozione l’inizio della seduta. Quando tutto fu pronto entrô Maurizio, semplicemente vestito con una camicia bianca che teneva aperta in modo da mostrare la selva di peli che gli copriva interamente il torace, le maniche arrotolate ai gomiti von le vene gonfie degli avambracci bene in evidenza, e un paio di vecchi jeans, in cui l’estrema usura in corrispondenza del bozzo aveva fatto assumere alla stoffa un colore biancastro. Sul bel viso virile, aveva dipinta un’espressione di divertita curiosità, ma anche di intensa libidine per quello che stava per succedere. Postosi in mezzo al cerchio dei ragazzi, a gambe divaricate, senza perdere molto tempo in preliminari, disse, a bassa voce,: Baciatelo. I cinque ragazzi, in ginocchio si avvicinarono al grosso bozzo dei jeans del poliziotto ed uno ad uno premettero le labbra sull’oggetto del desiderio, alcuni con la lingua fuori, leccando la ruvida stoffa, altri cercando di aspirare profondamente il profumo delle parti virili del maschio. Terminato questo rituale, Maurizio intimô a quello che gli sembrava il piû giovane e bello, di tirarglielo fuori. Francesco, questo era il nome del prescelto, un biondino con gli occhi azzurri, splendidamente intonato all’ambiente della sontuosa sagrestia, si avvicinô al grosso bozzo dell’uomo e, tirando giû la zip, espose l’organo desiderato, già di dimensioni considerevoli, anche se non completamente eretto. Maurizio impose allora, con fare autoritario di baciarlo e leccarlo a turno e presto, sotto i sapienti colpi di lingua dei ragazzi, che non aspettavano altro, si trasformô in una potente torre di carne, dura e pulsante. Finalmente Ettore, rinchiuso nel suo confessionale, poteva vedere il cazzo del poliziotto, un cazzo perfetto, ancora piû impressionante e massiccio di quanto traspariva dai disegni di Davide, un cazzo da adorare come una divinità in terra, l’unica divinità degna di questo nome nella sua vita. Maurizio nel frattempo si era calato i pantaloni, in modo da offrire un migliore accesso alle sue parti intime ai cinque ragazzi. Questi si alternavano, dapprima uno alla volta sulla grande asta, leccando la cappella che sporgeva notevolmente rispetto al tronco della verga, per poi passare alla nodosa parte che mostrava un intrico di vene in rilevo, fino ad aspirare l’odore afrodisiaco del folto velllo pubico; poi tutti insieme, leccando i grossi coglioni pelosi, prendendone uno in bocca a testa, mentre un loro compagno invcominciava la succhata vera e propria, spalancando le mascelle in modo da accogliere l’ernorme testa del cazzo. E ci fu anche chi, non contento, si spinse dietro l’uomo e incominciô una libidinosa esplorazione delle fessa pelosa, fino a trovare con la lingua il buco del culo, interamente protetto da una folta selva di peli neri., al che si udî il poliziotto esclamare :Cazzo, questo non era previsto, cosî mi fate venire. Quando Maurizio sentî che stava per esplodere, ordinô ai ragazzi di allontanarsi e immediatamente fu portato Romeo, trascinato dal muscoloso bulgaro Dobromir. Questi fece inginocchiare Romeo davanti a Maurizio, che si accarezzava lentamente il cazzo, gli tolse i pantaloni e con un tubetto di lubrificante, incominciô a prepararlo all’ingresso dell’enorme mostro che l’avrebbe sverginato. Maurizio si posizionô dietro il ragazzo e lo accarezzô sul collo, mormorando: non avere paura, ti piacerà. Poi trovato il punto giusto di contatto spinse forte con un poderoso colpo di reni , che fece gridare Romeo con un acuto urlo da soprano seguito da una serie di implorazioni a toglierlo, dicendo che non avrebbe piû fatto la spia, ma che per favore lo togliesse perché l’avrebbe fatto morire. Ma i patti erano patti: Maurizio si era impegnato all’atto completo nel culo del ragazzo, altrimenti Padre Ettore non avrebbe scontato la retta al figlio Davide. Per cui incominciô una lenta ma inesorabile penetrazione, che lo portô infine ad avere tutto l’enorme cazzo dentro al culo, con i coglioni che che entrarono in contatto con le piccole palle di Romeo, grandi come albicocche e circa un quarto dei coglioni del’uomo. Maurizio rimase fermo per qualche secondo, facendo abituare il tenero intestino di Romeo al brutale invasore, poi incominciô la sua inevitabile chiavata, prima lento, poi sempre piû forte, ma da uomo ben esperto dell’inculata, sempre con nuove varianti, in modo da fare sentire al ragazzo tutte le vene che gli tendevanio l’asta, rispondendo alle sollecitazioni che il culo palpitante trasmetteva al mostro, tenendo bene a lungo la cappella in corrispondenza della prostata di Romeo e muovendola con piccoli colpi che ben presto trasformarono il dolore dell’inculata in un piacere sublime. Ad ogni colpo in avanti, Romeo, che teneva gli occhi chiusi, li apriva e vedeva davanti a sé, nella parete della Sagrestia, il grande affresco del Sodoma che rappresentava il martirio di San Sebastiano, legato alla colonna e colpito dalle frecce lanciate da due bravacci muscolosi e sogghignanti, i cui pantaloni attillati e a vistosi colori gialli e rossi non riuscivano a nascondere l’evidente erezione dei grossi membri. E si sentiva solidale con San Sebastiano, ma sentiva anche che la cosa gli piaceva sempre di piû, finchê all’improvviso, mentre Maurizio con due poderosi colpi urlava:-Questo ê per la spia che hai fatto riguardo a Davide, e questo ê per la cagacazzi di tua zia,-come se colpito da uno starnuto, si trovô ad avere un intenso orgasmo e si trovô a bagnare di sperma con almeno cinque getti zampillanti il piancito della Sagrestia. Questo fu il segnale convenuto, giacchê Maurizio, con alcuni colpi poderosi e ben assestati, si trovô presto ad inondare di sborra calda l’intestino di Romeo, e lo fece bestemmiamdo forte, cosa che rese ancora piû dissacrante la scena rispetto all’ambiente in cui si svolgeva. Anche i ragazzi non si fecero attendere, si stavano già masturbando dall’inizio dell’inculata e sborrarono all’unisono, sentendo le bestemmie liberatorie del poliziotto, mentre Padre Ettore, finalmente tiratosi fuori il membro delicato e roseo, poteva raggiungere il suo piacere liberatorio. Ma la scena piû eccitante doveva ancora venire, giacchê il buco del culo di Romeo, una volta che Maurizio l’ebbe liberato dall’incredibile cazzo invasore, era rimasto oscenamente aperto e rosso e fu allora che Romeo, senza possibilità di difesa, incominciô a spruzzare tutta la sborra che aveva nell’intestino con una serie di rumorose scoregge, che fecero ridere tutti gli astanti, mentre il ragazzo, col volto rosso dalla vergogna e prostrato verso terra, doveva subire anche questa ultima umiliazione.

Dopo essersi dato una sistemata, Maurizio si avviô con la moto lungo i tornanti della collina , ma presto si fermô ad una cabina telefonica. Chiamô uno ad uno i suoi amici e gli diede appuntamento per la sera seguente, per un certo lavoretto che avrebbe spiegato loro in seguito. Poi chiamô Davide. Ciao, sono papà, come stai? Bene, disse Davide con una voce da trasognato. Non mi sembri molto convinto. E’ troppo duro il lavoro nelle stalle? No, ê che.. Cosa? E’ che.. ê che, voglio tornare a casa.. Silenzio Papà, ho bisogno di te Si.., capisco, pazienta ancora un po’, ..dopodomani ti vengo a prendere. Mentre diceva queste ultime parole, Maurizio sentî la grossa bestia che si agitava nei jeans, e non potê far altro che darle una vigorosa palpata.

(Continua) Galeazzo_45@katamail.com

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