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Il Convento delle Delizie, Sesta parte

by Apolloduro


L’altare, sulla cui pedana Padre Marcello aveva tentato di dire parole di pentimento e di mediazione poco prima, prese a tremare. Padre Marcello si fece da parte e tutti i monaci si strinsero in cerchio attorno all’altare per osservare cosa stesse accadendo. L’altare tremava. Ma non si trattava di un terremoto. Il tremito era localizzato unicamente in quel punto. Fuori la tempesta continuava a infuriare, ma nella chiesa si percepiva un calore nuovo provenire dall’altare tremante, un calore che scaldava l’anima prima ancora che il corpo. A un certo punto tutti sobbalzammo perché l’altare fu letteralmente spaccato in due da una forza invisibile, si aprì una voragine rossa nel pavimento e da questa voragine emerse lentamente un gigantesco fallo di carne diabolica. Era una visione talmente incredibile che tutti ci stropicciammo gli occhi credendo di sognare. Ma non si trattava di un sogno. Come avevo potuto constatare di persona, il Diavolo poteva mostrarsi in incarnazioni molto efficaci … Questa volta però il suo intervento nella realtà fu nella forma di puro fallo. Il diametro del cazzo diabolico, emerso dal pavimento, radicato nelle viscere della terra e troneggiante al posto dell’altare, sarà stato di un metro. L’altezza circa due metri e mezzo. L’erezione poderosa di quel prodigio vivente fece riaffluire immediatamente il sangue anche nei nostri membri rattrappiti dalla paura e dal senso di colpa. Restammo tutti ammutoliti, estasiati, eccitati a contemplare le vene enormi che trasparivano sotto la pelle di quel cazzo fantastico. Presto ci accorgemmo che si stava muovendo. Fremeva e si gonfiava ulteriormente, si induriva e si inarcava, sembrava si stesse preparando a una colossale eiaculazione. Nello spazio della chiesa risuonarono dei gemiti profondi. Una voce sovrumana gemeva di godimento e l’ascolto di quella voce accompagnava e rinforzava la visione sublime del cazzo satanico che avevamo sotto i nostri occhi. Padre Marcello arrossì violentemente e crollò in ginocchio, in adorazione del fallo. Notai che portava una mano sotto il saio e cominciava a masturbarsi, quasi il gesto corrispondesse a una contro-preghiera satanica. Sentii tornare in me tutti i sintomi dell’eccitazione e vidi che tutti i monaci si stringevano alla base della colonna di carne pulsante abbracciandola, leccandola, baciandola, guardando verso l’alto la maestosa cappella. La voce risonante prese ad ansimare e gemere su toni più alti. Il ritmo dei gemiti si fece serrato. Poco dopo un urlo diabolico di sconfinato piacere annunciò l’eruzione di un getto fenomenale di sperma dal fallo troneggiante al posto dell’altare. La volta della cupola, le pareti della chiesa, i paramenti sacri, tutto venne imbrattato di sborra caldissima, che ricadde a pioggia su di noi. Ben presto un nuovo spruzzo immane fuoriuscì, seguito da altri. L’orgasmo diabolico durò molto più di quelli umani, e fu molto più lungo anche di quello dei maiali, famosi nella cultura popolare per la durata e gli strepiti dei loro orgasmi. Fu così lungo che fece in tempo a riempire tutto l’ambiente sacro di uno strato di sperma alto una trentina di centimetri. Non posso descrivere quali scene si svolsero fra i monaci, me compreso, in quella situazione. L’atmosfera era elettrizzata. Le ondate di energia libidica erano quasi percepibili a occhio nudo. Sguazzando letteralmente nella sborra fummo completamente assorbiti in un’orgia cieca ed estasiante, realizzando i desideri più spinti e inconfessabili con un’impudicizia totale, ignari del fatto che, fuori, la tempesta si era nel frattempo placata. L’alba era giunta, con un cielo terso, un solo splendente, l’aria piena del profumo dei pini circostanti. Dio, evidentemente, si era arreso. Aveva capito che in quel luogo doveva accettare un fallimento completo. Il Convento sarebbe rimasto per sempre la sede terrestre e il regno incontrastato del Demonio, che avrebbe tenuto sotto scacco generazioni di monaci giunti in quel luogo per sottrarsi alla violenza di desideri carnali prepotenti e continui e rimasti fra quelle mura fino alla fine dei loro giorni, ossessivamente catturati dalla ricerca del piacere.


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