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Il diavolo custode

by Ferdinando Neri


Il diavolo custode

Quel bastardo ce l’aveva fatta, era riuscito a dileguarsi un’altra volta. Nel canyon non si vedeva nessun segno di presenza umana e per terra nessuna traccia. Anche questa volta Jack The Jackal gli era sfuggito. Probabilmente aveva già raggiunto il confine del Messico e lui non poteva farci proprio piû niente. Tanto valeva che si rassegnasse. Lo sceriffo Pete Strain era furibondo con se stesso, per essersi lasciato scappare quel figlio di puttana: Jack avrebbe continuato a seminare cadaveri in tutta l’Arizona e lui non era riuscito a fermarlo. Era stato sicuro di beccarlo, questa volta: lui e Dan, il suo vice-sceriffo, si erano separati per seguire le uniche due piste che portavano verso il confine, ma Jack li aveva beffati. Doveva essere passato per un’altra via, quella carogna conosceva la regione come nessun altro. Per un attimo Pete si disse che forse Dan poteva averlo raggiunto, ma era difficile. Non era probabile che Jack prendesse la pista seguita da Dan. Pete lanciô un’ultima occhiata alle rocce rossastre, ai pochi alberi che crescevano sul fondo del canyon, alle antiche abitazioni indiane che si vedevano alla curva del fiume. Girô il cavallo e riprese la strada per Redstone. In un’ora fu al punto in cui lui e Dan si erano separati. Nessuna traccia del suo vice. Osservando le orme, Pete vide che Dan non era ancora tornato indietro, a meno naturalmente che non fosse passato da un’altra parte. Pete ripensô al suo vice, ne rivide il corpo massiccio, l’eterno sigaro in bocca, la camicia a quadri con le larghe bretelle e le maniche arrotolate, a mostrare le braccia coperte da una peluria rossa. Come sempre, il pensiero di Dan lo turbô. Non aveva mai analizzato che cosa provava per il suo vice, ma sapeva benissimo che non c’era solo il profondo affetto per l’uomo che lo aveva affiancato quando aveva dovuto affrontare i Parsons, l’unico che aveva avuto il fegato di combattere con lui quando quella banda di bastardi era arrivata a Redstone. C’erano altre cose, nel loro rapporto, o almeno nella testa di Pete, sensazioni confuse ed una tensione che spesso si traduceva in una violenta erezione. Pete si rese conto che anche in quel momento gli stava venendo duro. Prima Jack The Jackal che gli era sfuggito ed ora anche il cazzo duro al pensiero del suo vice! Pete era furibondo con se stesso. Spronô il cavallo e per un buon momento lo mantenne in corsa, come se stesse inseguendo un bandito in fuga, poi si diede dell’idiota e rallentô. Era al bivio per Bad Waters, ora. Gli venne in mente che non lontano di lî c’era una pozza d’acqua di cui quasi nessuno conosceva l’esistenza. Pete l’aveva scoperta per caso e non ne aveva parlato a nessuno, ad eccezione di Dan: ci andavano a bagnarsi, qualche volta. Rivide, nitidissima, l’immagine di Dan alla pozza, il grosso corpo coperto da una peluria rossa, il sesso vigoroso. Merda! Di nuovo! Di nuovo con il cazzo duro al pensiero di Dan! Cercô di scacciare Dan dalla sua testa e si disse che sarebbe stato bello rinfrescarsi un po’ in acqua, sî, era una buona idea. Era in un bagno di sudore, con quel caldo fottuto, e sguazzare nella pozza sarebbe stato una meraviglia. Percorse il sentiero tra le rocce, fino a che raggiunse il punto in cui bisognava smontare e proseguire a piedi. Legô il cavallo ad un albero e scese verso la pozza, incuneandosi tra due rocce che bloccavano quasi completamente il passaggio: in breve arrivô in vista dello specchio d’acqua. Aveva un colore intensissimo, un azzurro quasi blu, che contrastava con il rosso della roccia. Sulle pareti circostanti, dove l’acqua, nei periodi di piena, aveva eroso la roccia, correva una striscia piû chiara, appena rosata. Dal lato in cui si trovava Pete, il terreno era quasi in piano, ma gran parte della pozza era circondata da una parete verticale, alta almeno cinquanta piedi. C’era un unico sentiero per raggiungerla, a meno di non tuffarsi dall’alto. Pete l’aveva fatto una volta, ma l’acqua non era molto profonda e bisognava trovare il punto giusto. La visione dell’acqua, perfettamente immobile, rasserenô Pete. Cacciô dalla testa i suoi pensieri, lo Sciacallo e Dan, ed incominciô a spogliarsi. Avanzô, immergendo i piedi e poi le gambe ed assaporando la sensazione di frescura. Poi, quando l’acqua gli arrivô alla vita, si immerse ed incominciô a nuotare. Man mano che il suo corpo si rilassava, si sentî invadere da un benessere tanto intenso da stordirlo. Avrebbe voluto rimanere per sempre lî.

Non sapeva quanto tempo era trascorso, ma ormai era ora di ritornare: il sole si era abbassato e le ombre si allungavano. Si diresse verso riva. Quando mise i piedi fuori dall’acqua, una figura si staccô dalla roccia dietro a cui si era nascosta. Pete capî che la sua vita sarebbe finita quel giorno stesso, di lî a pochi minuti. Non avrebbe mai spiegato a Dan che cosa provava per lui, non avrebbe mai stretto quel corpo, né nessun altro. La pistola che Jack gli puntava contro avrebbe sparato presto, mettendo fine alla sua attività di sceriffo ed alla sua esistenza. - Bene, sceriffo dei miei coglioni, hai finito di starmi dietro al culo, una volta per tutte. Sî, Jack aveva ragione, Pete aveva finito di inseguire criminali e di fare qualunque altra cosa. Meccanicamente Pete cercô con gli occhi gli abiti e le pistole, ma erano fuori dalla sua portata. Jack seguî il suo sguardo e scoppiô a ridere. - Vuoi provare a prendere una pistola, stronzo? Pete non disse nulla. Che senso aveva parlare? Jack lo fissava, con un ghigno stampato in faccia. - È un peccato doverti ammazzare, sceriffo, un bel ragazzo come te. Pete sapeva benissimo di essere un bell’uomo: anche se non glielo avesse detto lo specchio, lo leggeva nello sguardo di tutte le donne e di moltissimi uomini. A volte gli era sembrato di leggerlo anche negli occhi di Dan, ma non ne era sicuro ed in ogni caso ormai non aveva piû importanza. Qualunque cosa Dan potesse aver desiderato o pensato di lui, ormai non contava piû nulla, sarebbe rimasto per sempre un sogno impossibile, al massimo un rimpianto. Jack si diresse verso gli abiti di Pete. Senza abbassare la pistola e tenendolo sotto tiro, frugô con la sinistra nelle tasche e ne estrasse un paio di manette. Si avvicinô a Pete. - Stenditi sulla roccia, a pancia in giû, e metti le mani dietro la schiena. Pete non capiva che cosa Jack volesse fare. Non aveva nessuna possibilità di salvarsi, ma non aveva fretta di crepare. Se ubbidire gli dava ancora qualche minuto da vivere, tanto meglio. Eseguî l’ordine. Jack gli passô le manette ai polsi, bloccandoglieli dietro la schiena. - Sai che hai proprio un bel culo, sceriffo? Un bel culo. La risata di Jack gli sembrô una lama di coltello che gli graffiava la pelle. Ora aveva capito le intenzioni del fuorilegge. Sentî la rabbia invaderlo, per l’umiliazione che lo aspettava, ma avvertî anche una tensione nuova. Piû volte, guardando Dan, lî alla pozza, o pensando a lui, aveva immaginato che il suo vice lo prendesse, lo stringesse, lo… - Sai che cosa ti succederà ora, vero? Ti fotterô in culo e poi, quando verrô, ti sparerô. Creperai mentre ti fotto. Pete tacque. Che cosa avrebbe potuto rispondere? Aveva la testa leggermente girata di lato e con la coda dell’occhio poteva vedere Jack. Si stava slacciando i pantaloni e li abbassava, mettendo in mostra un arnese già mezzo rigido. Jack posô la pistola di fianco a Pete, poi con la mano destra incominciô ad accarezzarsi, fino a che non fu pronto. - Ho sempre sognato di inculare uno sceriffo e non c’ê un culo piû bello del tuo tra tutti gli sceriffi dell’Arizona. Jack rise ancora. Poi Pete sentî il peso del corpo del bandito sul suo. Si irrigidî, aspettando il momento ormai inevitabile. Jack gli mise le mani sul culo, divaricandolo e Pete avvertî la pressione contro l’apertura, fino ad allora mai violata. Pensô a Dan e si disse, per la prima volta chiaramente, che avrebbe voluto che fosse Dan a farlo, ma ormai era troppo tardi. Provô una rabbia feroce nei confronti di Jack, ma non poteva resistere. La mazza ferrata che premeva contro il suo culo trovô infine la strada e forzô l’ingresso. In Pete la rabbia lasciô il posto all’umiliazione. Si rassegnô all’avanzata, prepotente e trionfale, dell’invasore. Si stupî di avvertire cosî poco dolore, di fronte a quell’arma che guadagnava terreno ed entrava sempre piû a fondo dentro di lui. Con un senso di smarrimento si rese conto che quella sensazione di essere riempito non provocava solo dolore: il suo corpo stava reagendo in un modo inatteso. Pensô a Dan e per un momento immaginô che fosse lui a penetrarlo. Comprese che il sangue stava affluendo al suo uccello e provô vergogna, ma che senso aveva? Stava per morire e nulla aveva importanza. Jack aveva raggiunto la meta. Ci fu un attimo di tregua e Pete avvertî un senso di benessere: il peso del corpo di Jack sopra di lui e l’uccello di Jack dentro di lui lo infiammavano. Jack ritirô l’uccello fin quasi ad uscire dal culo di Pete, poi spinse a fondo, con forza. Ripeté l’operazione quattro volte e ad ogni spinta Pete avvertiva un dolore crescente ed una tensione sempre piû forte. Sapeva di avere l’uccello duro. Pensô a Dan e cercô di cancellare dalla mente l’immagine di Jack che lo fotteva e di sostituirvi quella di Dan. Sî, Dan lo stava fottendo ed era bellissimo. L’eccitazione crebbe. Il freddo della canna contro la nuca gli rese la coscienza della situazione. Era stato tutto rapidissimo, in due minuti Jack aveva già finito. - Sto per venire e tu adesso crepi. Voglio venire nel tuo cadavere, sceriffo. Pete guardô la pozza d’acqua davanti a sé, pensô a Dan, a… Lo sparo lo assordô. Si stupî di non avvertire dolore, nulla. Poi un urto alla testa qualche cosa che gli colava in faccia. Sangue. Eppure non avvertiva nessun dolore. - Merda, Pete, vuoi alzarti o ti piace tanto startene con il cazzo di un morto in culo? La voce di Dan lo fece sobbalzare. Si scrollô di dosso Jack, il corpo di Jack, che era ormai solo piû un cadavere. Un buco nella testa. Il colpo gli aveva trapassato il cervello ed era uscito dalla fronte. Il sangue che bagnava Pete era quello di Jack. Pete si alzô e guardô Dan, che lo fissava, la pistola ancora in mano. Solo in quel momento si rese conto che Dan poteva vedere la sua erezione. Fissô Dan. Aveva un’espressione dura in viso. - Ti piaceva farti fottere, eh? Che cosa poteva dirgli? Che gli era venuto duro perché stava pensando a lui? - Merda, Dan, pensi mica che l’abbia scelto io? Dan guardô il cadavere di Jack, riverso sulla schiena, i pantaloni abbassati, e gli assestô un tremendo calcio sulle palle. - Questo figlio di puttana si ê divertito, lui! Dan era furente e Pete non capiva quella rabbia. A prendersela con Jack avrebbe dovuto essere lui, al massimo. A Dan, Jack non aveva fatto nulla. - Ha pagato caro il suo divertimento. Grazie a te. Stava per ammazzarmi, Dan, sei arrivato giusto in tempo. - Giusto in tempo, eh? Cosî ti ha potuto fottere per bene. - Ma che cazzo ti prende, Dan? Ti ha morso un serpente a sonagli? - Forse era meglio se mi mordeva. - Se ti mordeva, a quest’ora ero morto anch’io. Dan non disse niente, ma mollô un altro calcio a Jack, nello stesso punto. - Senti Dan, potresti togliermi le manette, ora, invece di prendere a calci un cadavere? - Ci tieni tanto a questo cadavere? Ti ê piaciuto, eh? Ti ê persino venuto duro. Pete non sapeva come arginare la furia di Dan. - Toglimi le manette, per favore, Dan. Dan annuî, mollô un terzo calcio al cadavere e si diresse al punto in cui Pete aveva lasciato i suoi vestiti. Lo sceriffo lo seguî. - Nella tasca destra. Dan prese le chiavi e passô dietro di lui. Non tolse subito le manette e Pete si chiese che cosa cazzo stesse facendo. Finalmente Dan lo liberô. Pete si voltô a guardarlo. C’era tristezza, negli occhi di Dan, un mare di tristezza, che aveva preso il posto della rabbia. - Grazie, Dan, ti devo la vita, un’altra volta. Dan lo fissô senza aprire bocca. Poi si voltô e si diresse verso il cadavere, dicendo: - Trovati un altro vice, Pete. Io ho chiuso. Pete si era appena chinato per raccogliere la camicia ed infilarsela, ma la lasciô cadere. Raggiunse Dan. - Senti, Dan, sei libero di fare quello che cazzo ti pare, ma puoi spiegarmi perché sei cosî nero? Dan non disse nulla, mentre sistemava i vestiti del cadavere. Solo quando ebbe finito sibilô, senza guardare Pete in faccia: - Lascia perdere, Pete, lascia perdere. È meglio. Dan prese il corpo per le gambe ed incominciô a trascinarlo verso il sentiero, senza voltarsi in direzione di Pete. Pete lo guardô allontanarsi. Una figura massiccia, potente. Si disse che a Dan sarebbe passata. In serata si sarebbero parlati. Dan non se ne sarebbe andato cosî, non era possibile. Pete si rivestî e si avviô lungo il sentiero. Raggiunse Dan mentre questi stava già legando il corpo di Jack al cavallo. Lo fissô, ma Dan gli dava ostentatamente la schiena. Sudava abbondantemente per lo sforzo che aveva compiuto, aveva la camicia completamente inzuppata. Dan prese le briglie del cavallo di Jack, salî sul proprio e si avviô, senza dire una parola. Pete lo affiancô. Voleva parlargli, ma era meglio non affrontare direttamente l’argomento. - Come hai fatto a capire che ero alla pozza? Dan grugnî qualche cosa di indistinto, poi rispose: - Ho visto che le tracce di Jack tornavano indietro e poi sembravano seguire le tue. Allora vi sono venuto dietro. Quando ho visto che vicino al tuo cavallo c’era quello di Jack, ho capito che voleva prenderti di sorpresa… Ci fu un attimo di pausa, poi Dan aggiunse: - In effetti, ti aveva preso… La voce di Dan era cupa, di nuovo rabbiosa. Spronô il cavallo, scostandosi da Pete. Pete si disse che avrebbero parlato con calma a Redstone. Non ne parlarono. Mentre Pete si occupava di far seppellire Jack, Dan raccolse i suoi quattro stracci e scomparve nel nulla. Pete si disse che non era possibile, che non poteva essersene andato cosî. Per settimane ogni giorno si aspettô di rivedere Dan. Poi la speranza si affievolî e si spense, lasciando in Pete un gusto di cenere in bocca ed un vuoto dentro. C’erano ancora dei momenti in cui si diceva che Dan sarebbe tornato. Ma Dan non tornava, si era dileguato, ormai doveva essere a migliaia di miglia, perché nessuno sembrava sapere niente di lui, nessuno lo aveva mai visto o aveva sentito sue notizie.

Sei mesi dopo Pete era seduto nel suo ufficio. Cercava di valutare la situazione. Mike Gladpol ed i suoi uomini stavano per arrivare a Redstone. Dovevano essere in tre o quattro. Se avesse avuto Dan al suo fianco, Pete non si sarebbe preoccupato. Gladpol era un figlio di puttana, ma la sua banda non era pericolosa come i Parsons. Come sempre, al pensiero di Dan, Pete sentî la ferita riaprirsi. Aveva riflettuto molto, aveva capito, o almeno pensava di aver compreso, i motivi della rabbia di Dan quel giorno. Su un punto si era chiarito completamente le idee: quello che provava lui. Sapeva benissimo di desiderare Dan. Un desiderio prepotente, perché al solo pensiero di Dan l’uccello gli si irrigidiva. Ma non voleva solo il corpo di Dan, voleva Dan, Dan con il suo sigaro e la sua aria tranquilla, Dan con il suo sorriso beffardo, Dan con il suo coraggio, Dan con la sua ironia. Dan e basta. Cercô di ritornare con la testa ai problemi che lo aspettavano. L’indomani con sé avrebbe avuto tre uomini. Non molto, perché non erano esperti, ma certamente un bell’aiuto. Sarebbero bastati? Probabilmente no. La porta si aprî in quel momento. Pete alzô lo sguardo e smise di respirare. Dan entrô tranquillamente e si mise a sedere sulla sedia davanti alla scrivania di Pete, come se fosse uscito dall’ufficio due ore prima. Alzô le gambe, poggiando gli stivali sul ripiano, tirô una boccata dal suo immancabile sigaro e disse, con un ghigno beffardo. - Mi hanno detto che c’ê un posto di sceriffo libero, qui. Pete cercô di dominare il desiderio violento di alzarsi e buttarsi tra le braccia di Dan. Sorrise, nascondendo a fatica la burrasca che aveva dentro, e disse: - Sei arrivato troppo presto. Si libera domani. - Oh, beh, posso aspettare un giorno. Pete aspettô un attimo, aveva bisogno di un momento per riprendere fiato. Poi si alzô e passô dall’altra parte della scrivania, sedendosi sul bordo, di fianco alle gambe di Dan. Posô una mano sulla coscia del suo (ex-)vice. - Sono contento che tu sia qui, Dan. Mi sei mancato, da morire. Dan lo guardô. Aveva ancora il ghigno stampato in faccia, ma gli occhi non ridevano piû. C’era una domanda, in quegli occhi, e Pete intendeva fornire una risposta. Spostô la mano dalla coscia di Dan al promettente rigonfio dei pantaloni e sentî, con soddisfazione, che qualche cosa si muoveva, acquistando volume e rigidità, al contatto della sua mano. Il movimento continuô per un buon momento ed il risultato finale fu una protuberanza di dimensioni davvero ragguardevoli. Che Dan ce l’avesse grosso, Pete lo sapeva benissimo, glielo aveva visto fuori quando pisciava e lo aveva visto nudo alla pozza. Ma non gliel’aveva mai visto duro. Pete si mise a cavalcioni sulle gambe distese di Dan e poi scivolô fino a sedersi esattamente sulla collina (o forse sarebbe piû esatto dire montagna, viste le dimensioni). Fissô Dan negli occhi. Dan si tolse il sigaro dalla bocca e lo spense sulla stella dello sceriffo. Lo posô sulla scrivania. Poi bofonchiô, con un tono ostile: - Sei proprio una troia, sceriffo. Non ti ha chiavato nessuno, in questi ultimi tempi, che sei cosî in calore? Pete incassô, piegando leggermente il capo. Guardô il viso imperturbabile di Dan. Doveva dire una cosa e doveva dirla adesso. E poi che Dan facesse quello che cazzo voleva. Ma doveva dirgli la verità. - Nessuno mi ha mai chiavato, a parte Jack, e lui mi prese con la forza. Non c’ê mai stato nessun altro, né prima, né dopo. Ma vorrei che lo facessi tu, questo l’ho sempre voluto. Se desiderarti vuol dire essere una troia, va bene, allora lo sono. Ma non c’ê nessun altro che desidero. E quel giorno, alla pozza, quando Jack mi inculô, io pensavo a te. Per quello ce l’avevo duro. Aveva detto quello che aveva da dire. Aveva passato la mano. Ora toccava a Dan. Dan lo prese per la camicia e lo attirô verso di sé, fino a che le loro teste furono vicinissime. A quel punto gli mise le mani sulle guance e lo baciô sulla bocca. Poi si staccô e disse: - Forse ê meglio che tu chiuda la porta, Pete. Magari entra qualcuno e scopre che lo mettono in culo allo sceriffo. Pete annuî, ma la testa gli girava ed il cuore batteva all’impazzata. Riluttante, abbandonô la sua posizione e si avvicinô alla porta. La chiuse a chiave. La finestra aveva le ante accostate, per difendersi dal calore, e nessuno avrebbe potuto spiare dentro. - Dan… Non sapeva che cosa dire, ma forse non servivano piû parole. Dan non ne usô, di parole. Lo baciô di nuovo sulla bocca, gli infilô la lingua tra le labbra e gli afferrô il culo, stringendolo in una morsa di ferro. Poi si scostô, lo guardô nella penombra, sorrise e lo baciô di nuovo. Pete si lasciô baciare, accarezzare, stringere, pizzicare, abbracciare. Le sue mani scorrevano sul corpo di Dan, avide ma confuse. Quelle di Dan, piû decise, gli sfilarono il gilê e poi gli aprirono la camicia, infilandosi sotto il tessuto per accarezzargli il petto e stringergli i capezzoli, dopo un po’ risalirono, facendogli scivolare la camicia dalle spalle ed infine ridiscesero lungo la schiena. Pete gemette e le sue mani aprirono a forza la camicia di Dan, le sue dita si immersero nel vello piuttosto fitto che circondava i capezzoli, poi si distesero per accarezzare la pelle. Dan armeggiava con la cintura di Pete ed ebbe presto ragione della resistenza opposta dalla fibbia. I pantaloni e le mutande finirono a terra e Pete rimase nudo, con gli stivali ai piedi ed i pantaloni alle caviglie, mentre le mani di Dan percorrevano frenetiche il suo corpo, scorrendo affiancate dal ventre al torace, per poi separarsi e scivolare dietro la schiena, scendendo fino al culo, stringendolo con forza. Pete avrebbe voluto finire di spogliare Dan, ma non riusciva ad aprire la cintura, contro cui premeva il ventre sporgente del suo amico. Allora Pete con la destra afferrô attraverso la stoffa il massiccio uccello, che tendeva i pantaloni come un palo, e strinse. Dan grugnî, si staccô da lui, si sedette a terra, si sfilô gli stivali, poi si slacciô la fibbia e con un movimento rapido finî di spogliarsi. Pete si era appena tolto gli stivali e stava sfilandosi i pantaloni, ma al vedere il grande sesso di Dan emergere, vigorosamente teso verso l’alto, si fermô, incapace di muoversi. Si sentiva la gola secca. Dan si alzô, era davanti a lui ora. Da terra Pete guardô quel corpo massiccio che lo sovrastava, coperto da una peluria di un rosso piû scuro rispetto alla barba, che sul ventre diventata quasi marrone. Guardô le grandi mani, forti. Poi il suo sguardo venne inesorabilmente attratto dal formidabile sperone che, dal basso, appariva ancora piû grande e piû minaccioso. Dan gli mise le mani sul capo e gli scompigliô i capelli. Si avvicinô a lui. Ora Pete aveva il grande sesso di Dan davanti al viso. Si mise in ginocchio ed accostô le labbra alla cappella che emergeva, violacea, dalla pelle. La fissô ancora un attimo, affascinato, poi l’accarezzô con la lingua. - Apri la bocca, che c’ê un bel bocconcino caldo per te! Pete ubbidî ed accolse l’uccello di Dan. La sensazione che gli trasmise quel pezzo di carne fu intensissima. Avrebbe voluto prenderlo tutto, ma era troppo grosso per riuscire a farlo. Pete succhiô, prima impacciato, poi piû deciso. Le sue mani si appoggiarono sul culo di Dan, scivolarono dietro, stringendo la carne, accarezzando la peluria che copriva i fianchi. Strinse con tanta forza da far male a Dan, ma non se ne rese conto. Piû nulla esisteva per lui, se non quell’animale rapace che gli riempiva la bocca e quella carne forte che le sue mani tormentavano. Non si rendeva nemmeno conto dell’erezione che gli batteva sul ventre, del desiderio impetuoso che premeva. - Ora basta, Pete. Alzati. Pete interruppe a malincuore l’attività a cui si stava dedicando e si alzô. Quando fu in piedi davanti a Dan, lo guardô negli occhi e gli sfuggî: - Ti amo, Dan. Non si pentî di quello che aveva detto, anche se non sapeva come l’avrebbe presa Dan. Dan sorrise, annuî, senza dire niente, gli pose le mani sui fianchi e lo fece girare su se stesso. Poi gli si avvicinô fino a che i loro corpi aderirono completamente e Pete sentî l’arma formidabile contro il proprio culo. Gli parve di non riuscire piû a reggere. Dan lo spinse fino alla scrivania, lo forzô ad appoggiarsi su di essa e a divaricare le gambe. Poi Dan si inginocchiô e Pete sentî la sua lingua che gli percorreva il culo, scivolando lungo il solco, fino all’apertura. Rabbrividî. Mormorô: - Dan… Un morso feroce gli strappô un gemito, poi nuovamente la lingua accarezzô ed indugiô a lungo intorno alla sua meta. Dan si rialzô. Pete avvertî la pressione contro il suo culo. Sapeva che sarebbe stato doloroso, che non avrebbe facilmente ricevuto quel palo dentro di sé, ma non avrebbe voluto sottrarsi, a nessun costo. Dan spinse piano e lentamente l’apertura si dilatô ad accogliere la mazza che premeva. Dan si fermô, lasciô a Pete il tempo di abituarsi al dolore, di desiderare altro dolore, di sentire il piacere che nasceva da quel dolore, lasciô all’anello di carne il tempo di dilatarsi all’estremo, poi spinse ancora, lentamente, forzando oltre il limite, infliggendo nuovo dolore, suscitando nuovo piacere. Si arrestô ancora. Pete scivolava in un gorgo, incapace di reagire. La sofferenza era violenta, quel palo nella carne intollerabile, eppure Pete desiderava solo che quello strazio non avesse mai fine ed in lui cresceva una tensione che gonfiava di sangue l’uccello e diveniva tanto forte da stordirlo. Mormorô ancora: - Dan… Dan riprese a muovere la sua arma, con un movimento inesorabile, che dilaniava le viscere di Pete, moltiplicando il suo dolore ed il suo piacere. Pete si disse che era arrivato al limite, che non avrebbe potuto accogliere oltre quel tizzone ardente, ma l’avanzata non si arrestô. Lentamente, molto lentamente, nuove posizioni venivano raggiunte. Pete sentî una fitta violenta e soffocô un gemito. Infine Pete avvertî che il corpo di Dan aderiva completamente al suo. Il palo era saldamente infisso nella sua carne. Dan gli concesse un momento di pausa. Lentamente il corpo di Pete si abituô a quella presenza massiccia. Dan gli accarezzô ancora la testa con la destra, mentre con la sinistra gli pizzicava il culo. Gli morse leggermente la nuca, poi gli passô la lingua dietro l’orecchio. Pete gemette. Dan gli morse il lobo dell’orecchio, poi estrasse quasi completamente la sua arma e, senza fretta, la spinse di nuovo fino in fondo. Pete ebbe la sensazione che la terra gli mancasse sotto i piedi. Dan ripeté l’operazione altre due volte, con molta lentezza, poi prese a muoversi con maggiore decisione. Ad ogni nuova spinta Pete sentiva un’onda di sofferenza e di piacere sommergerlo completamente, mentre la tensione saliva in lui. Con Jack era stato tutto molto breve, ma Dan proseguî a lungo, molto a lungo e Pete perse ogni nozione del tempo e dello spazio. Non sapeva dov’era, che giorno era, chi era. Sapeva soltanto che la picca di Dan scavava dentro di lui, raggiungendo un territorio inviolato, mentre una vertigine di piacere, dolore, desiderio, appagamento, lo travolgeva. Le spinte di Dan divennero piû decise e ad ogni nuovo affondo Pete gemeva, incapace di controllarsi. Dan gli passô la mano sui coglioni, raggiunse l’asta tesa allo spasimo ed i suoi colpi divennero ancora piû violenti. Pete stava urlando, ormai, ma Dan gli mise l’altra mano davanti alla bocca e con un’ultima serie di spinte venne dentro di lui, riempiendogli le viscere di seme, mentre Pete veniva nella sua mano. Pete si abbandonô esausto, sudato, privo di ogni volontà ed energia. Dan gli passô un braccio intorno alla vita e, sollevandolo di peso, si mise di nuovo sulla sedia, tenendo Pete su di sé. Le mani di Dan incominciarono a percorrere il corpo di Pete. Dalla destra colava il seme di Pete, che Dan spalmava sul petto e sul ventre dello sceriffo. Poi la destra ritornô al sesso e lo coprî, mentre la sinistra saliva verso i capezzoli e le dita giocherellavano, stuzzicandoli. Pete riemergeva lentamente. Non desiderava altro che rimanere cosî, sul corpo di Dan, stretto dal vigoroso braccio di Dan, la picca di Dan in culo, meno grande e rigida, ma ancora massiccia. Se quello non era il paradiso, che cazzo era il paradiso? Guardô la pendola. Gli uomini che dovevano affiancarlo il giorno successivo dovevano venire nel suo ufficio, ma mancavano ancora due ore. Ed altro non gli interessava, in quelle due ore, che restare cosî. Poi Pete incominciô ad avvertire che la presenza estranea dentro di lui acquistava consistenza e volume. Il leone alzava nuovamente la testa, affamato, ed al suo ruggito anche la belva di Pete guizzava verso l’alto, pronta a lanciarsi ancora una volta all’attacco. Pete chiuse gli occhi, mentre sprofondava nel gorgo da cui era appena riemerso. Le mani di Dan scesero sul suo culo e lo sollevarono lentamente, per poi lasciarlo ricadere. Pete assecondô il movimento delle mani ed il suo corpo iniziô a sollevarsi, alleggerendo la pressione del palo che gli trapassava le viscere, per poi ridiscendere, infilzandosi completamente. Il palo aveva rapidamente raggiunto le sue dimensioni massime: ormai il movimento richiedeva un certo sforzo e moltiplicava il dolore, ma Pete non sarebbe riuscito a smettere. Le forti mani di Dan accompagnavano il movimento ed ogni fibra di Pete bruciava in un incendio che si alimentava in continuazione. Pete non avrebbe saputo dire quanto era dolore e quanto piacere, ma altro non desiderava che continuare quel movimento, in eterno, aiutato dalle mani di Dan che gli stringevano i fianchi. Ogni volta che scendeva nuovamente, il fiato gli mancava, ma anche la fitta era piacere, un piacere lancinante e feroce. Proseguirono a lungo. Pete era in un bagno di sudore. Goccioline gli scendevano sulla fronte e piccoli rivoli gli si formavano sul petto e colavano verso il ventre. L’uccello era teso allo spasimo. Il tempo si era cancellato completamente, null’altro esisteva che quel palo da cui Pete sfuggiva, per ricercarlo avidamente ogni volta, infinite volte. Il dolore e la tensione crescevano, fino a diventare intollerabili. Pete si mordeva il labbro, ma non poteva smettere. Nella penombra che avvolgeva la stanza, gli oggetti sembravano ondeggiare e perdere i contorni. Pete si chiese se stesse per svenire. In quel momento Dan lo sollevô con forza e con un movimento rapido lo infilzô nuovamente, mentre la sua mano afferrava, brutalmente, l’uccello di Pete. Ancora una volta vennero insieme. Pete ebbe una visione di lampi accecanti e squarci di nero e si afflosciô, esausto, sul corpo di Dan. Dan lo accarezzava con la mano bagnata del seme di Pete. Gli mise entrambe le mani sulle guance, poi scese sul torace, sul ventre. Pete si abbandonô completamente a quelle carezze. Guardô l’orologio e vide che mancava solo piû una mezz’ora all’appuntamento con i tre uomini. Riuscî a ritrovare la voce e lo disse a Dan. Si staccarono e salirono al piano di sopra, dove Pete dormiva. Pete faceva fatica a salire le scale, perché il culo gli faceva male. Eppure non si era mai, in tutta la sua vita, sentito cosî bene come in quel momento. Quando furono nella stanza illuminata, entrambi socchiusero gli occhi per abituarsi alla luce. Poi Pete prese la brocca con l’acqua. Guardô Dan, gli sorrise, guardô il suo magnifico uccello, non piû in tiro, ma ancora turgido. Vide che c’erano tracce di sangue e non si stupî. Dan seguî il suo sguardo ed ebbe un attimo di smarrimento. Pete gli sorrise. Dopo essersi lavati e puliti, scesero. Mike, Bart e Louis arrivarono poco dopo. Sapevano già dell’arrivo di Dan e la notizia li aveva resi euforici. Gladpol ed i suoi scagnozzi non avevano molte possibilità, ora. Si organizzarono per andare incontro ai banditi ed evitare una sparatoria in città. Il loro arrivo era previsto in mattinata, dalla strada di Dayton, com

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Attenti al gorilla - II

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Attento al gorilla - I

Attento al gorilla! Bob non vede l’ora di partire per godersi la sua settimana di vacanza a casa, in Nebraska: ha proprio bisogno di staccare un po’, prima dell’ultima tornata di esami. Dovrebbero esserci più vacanze e meno lezioni. L’autobus partirà tra poco ed al bar della stazione Bob sta scambiando le ultime chiacchiere con Andrew. Non è che badi molto a quello che dice il suo compagno

Cacciatori e prede

Godefroi osserva la prateria che si stende davanti a lui. Dalla collina su cui si trova, il suo sguardo scorre fino al fiume, che serpeggia non lontano, ancora coperto dalla nebbia mattutina. Oltre il fiume si innalzano le immense montagne che corrono lungo i confini meridionali del ducato. Il sole sta sorgendo, troppo presto perché Godefroi abbia la minima speranza di salvezza. I cacciatori si

Cacciatori e prede - Parte II

Charles si rialza, intontito. Per Godefroi ê un miracolo vederlo muoversi. È ancora vivo. Per quanto? - Charles, dove sei ferito? Charles scuote la testa. - Niente, duca. Solo un graffio al braccio. Ma mi ê crollato addosso e mi ha stordito. Godefroi lo guarda. È vero, l’abito non ê lacerato, ê intriso di sangue, ma ê il sangue dell’orso. Charles non sta morendo. - Fammi vedere il

Domande Pericolose

Domande pericolose Un racconto rosso di Ferdinando Neri Appoggiato al muro del cesso, tengo gli occhi chiusi e cerco di calmarmi. Non ê facile. Non ê facile. Ho fatto una cazzata ed ora mi sento morire. E dire che questa mattina ero cosî contento all’idea che finalmente ê arrivata l’estate: tra tre giorni la scuola finisce ed incominciano le vacanze. Tutti gli anni questo ê il momento

Domande pericolose - Parte II

Si porta due dita alla bocca, le infila dentro, le lecca ben bene, quasi leccasse qualche cos’altro, che adesso non vede piû, perché Bondi ê voltato (ma questo va bene, perché cosî mette in vista qualcosa di altrettanto bello) e poi le sfrega lungo il solco, arriva alla fessura e, senza stare a pensarci, le spinge dentro. Il ragazzo ha un sussulto, si tende, ma ormai ê troppo tardi. E poi

Il diavolo custode

Il diavolo custode Quel bastardo ce l’aveva fatta, era riuscito a dileguarsi un’altra volta. Nel canyon non si vedeva nessun segno di presenza umana e per terra nessuna traccia. Anche questa volta Jack The Jackal gli era sfuggito. Probabilmente aveva già raggiunto il confine del Messico e lui non poteva farci proprio piû niente. Tanto valeva che si rassegnasse. Lo sceriffo Pete Strain era

Il diavolo custode - Parte II

Il loro arrivo era previsto in mattinata, dalla strada di Dayton, come riferî Louis: lui aveva dei contatti a Ridge, dove si trovavano quei figli di puttana. Dan disse che si sarebbe fermato a dormire da Pete, nella camera sopra l’ufficio dello sceriffo, per essere pronto il mattino dopo. Quando i tre uomini furono usciti, Pete e Dan andarono a mangiare e poi rientrarono. Salirono in camera

Il grizzly

Glenn cammina svogliato per le strade della cittadina. Guarda indifferente la gente seduta a mangiare nei ristoranti. Già, ê ora di cena. Ma Glenn non ha fame. Passa davanti ad un MacDonald’s e l’odore gli dà fastidio. Anche lî ê pieno di gente che mangia. Glenn si ferma un momento a guardare dentro. Le famigliole felici che masticano avidamente i loro hamburger gli sembrano caricature oscene.

Il grizzly - Parte II

- Un poliziotto con la tua esperienza non fa fatica a trovare un altro lavoro. Ad esempio qui cerchiamo da tempo un poliziotto che sia in grado di gestire anche i problemi con i minori. C’ê una situazione complessa, che non sto a spiegarti. Io non sono all’altezza. Certo dipende dai legami che hai, se vuoi cambiare stato. - Non ho nessuno in Oregon e piû mi allontano, meglio ê. - Allora

Il Regalo di Compleanno

Il regalo di compleanno ovvero Le disavventure di Ferdinando Neri (quello sbagliato) Uno scherzo in rosso di Ferdinando Neri da un’idea di Monica B. - E lui mi dice: “Ma sei fuori di testa? A me piacciono le donne!” Ed io gli rispondo: “Non l’hai mai fatto con un uomo?”. E quello: “Figurati, io?!”. “Beh, non sai che cosa ti sei perso, amico. Ma non ê troppo tardi per rimediare.” Lui rimane

Il regalo di compleanno - Parte II

Un libro erotico ê un libro erotico, insomma, non si scrive un libro erotico. Evidente, no? - Pietro, io non leggo nemmeno libri erotici, figurati scriverli! Semplice, chiaro, perfetto! Ferdinando era proprio contento di essersela cavata in modo cosî brillante. - Non leggi libri erotici? Nemmeno uno ogni tanto? Tanto per stuzzicare l’appetito… - No. Ferdinando non sapeva come

L'apprendista

Fino a dieci anni vissi a casa di mastro Rocco, il fabbro. Ad allevarmi furono suo figlio Giovanni e la moglie Chiara. Non ero loro figlio: ero stato lasciato sulla soglia dell’abitazione in una notte d’autunno, avvolto in una coperta. Non mi avevano raccolto solo per pietà, come intuii da alcuni loro discorsi: in qualche modo ero anch’io parte di quella famiglia ed infatti c’era una certa

L'apprendista - Parte II

Luca lasciô al mio corpo il tempo di adattarsi a quell’intruso benvoluto, poi prese a spingere, sempre delicatamente, ed il suo movimento continuô a lungo, tanto a lungo da stordirmi. Le spinte diventavano piû energiche ed io, senza quasi rendermene conto, gemevo, ma gemevo di piacere puro. Luca penetrava a fondo e si ritirava, in un continuo avanti ed indietro. Ad un certo punto la tensione

L'ispettore paga il conto

Prima dell’incrocio rallento e controllo la situazione. Nessuno dietro di me, nessuno nella direzione opposta. Bene. Svolto nella stradina secondaria e percorro i due chilometri che mi separano dal bivio per la cascina. Passo oltre senza rallentare, mentre lancio un’occhiata verso l’edificio, lontano neppure cinquanta metri. Una finestra ê illuminata, una luce fioca. L’ispettore Marcello

Missione ad Abu Hadar

Lucien guardava la pista davanti a sé. Stavano salendo ed entro un’ora sarebbero giunti al passo. Di lî la discesa fino ad Al-Khatam, la capitale, avrebbe richiesto solo una mezz’ora. Aveva meno di due ore da vivere. No, non era cosî. Sarebbe stato meglio, se fosse stato cosî: ammazzato immediatamente, con una pallottola alla testa. Quello che lo aspettava era peggio, molto peggio. Conosceva

Missione ad Abu Hadar - part II

La pressione della lama sul collo di David aumentô leggermente, poi diminuî e David annuî. Allora la mano che gli chiudeva la bocca si allontanô. David abbassô lo sguardo sul pugnale e, benché la mano celasse una parte dell’elsa, ammirô il raffinato lavoro dell’orafo ed i due grandi rubini che costituivano gli occhi dell’animale favoloso. Non si stupî di vedere il pugnale in mano a Lucien, si

Un porcorso fuori percorso

- Potresti almeno evitare questo linguaggio da caserma. Massimo Aliotti apre la bocca per replicare, ma uno sguardo supplichevole della moglie lo blocca. Bofonchia qualche cosa e tace, mentre la rabbia per l’osservazione del figlio lascia il posto alla frustrazione. Che cosa ha detto? Che cosa cazzo ha detto perché suo figlio lo debba rimproverare per il linguaggio che usa? Sarà libero di

Un porcoso fuori percorso - Parte II

Enrico lascia che la sua lingua riceva la carezza di un’altra lingua, Enrico penserebbe, se osasse pensare, che il piscio non ha poi un gusto ed un odore cattivi, no, per niente, varrebbe la pena di assaggiare meglio, non sembra mica male, ma tutto questo Enrico non lo pensa, perché l’ha già pensato. - Prima che arrivi la sera, avrai imparato un sacco di cose, maialino. “Prima che arrivi la

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Web-02: vampire_2.0.3.07
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