Gay Erotic Stories

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Ricatto, Parte Seconda

by Lenny Bruce


Capitolo 2 Michele non sapeva che fare. Aveva paura. Di andare a casa di Corrado e di non andarci. Della reazione del fratello, quando avesse scoperto che la rivista porno non c’era più. Della reazione della mamma se avesse notato qualche segno delle botte che aveva preso da Corrado e di quelle che avreb-be certamente preso nel pomeriggio. Ma a quel pensiero gli tornò duro. L’idea che quello gli abbassas-se un’altra volta i pantaloni e lo sculacciasse lo fece arrapare. E poi, la mattina, mentre era sulle sue gi-nocchia, aveva sentito sul fianco l’uccello duro di Corrado. L’immaginava enorme e peloso. Chissà forse gliel’avrebbe fatto vedere. Oppure lui stesso gli avrebbe chiesto vederlo e Corrado per punizione l’avrebbe sculacciato ancora più forte. Allora avrebbe certamente pianto e Corrado l’avrebbe consolato. Stava per farsi una sega là nel bagno, mentre cercava di guardarsi il culo che era ancora rosso per i colpi ricevuti. Decise di non menarselo, di aspettare. Se non fosse andato da Corrado si sarebbe masturbato nel pomeriggio. Se invece avesse scelto di andarci, chissà cosa sarebbe accaduto. Ci andò. Disse a sua madre dove stava andando, perché a lei era sempre meglio dire la verità. Uscì di ca-sa e suonò tremando alla porta accanto. Nell’androne c’era un silenzio assoluto e lui pensò che se Corrado avesse deciso di sculacciarlo appena entrato, i colpi si sarebbero sentiti fino in casa sua. Questo lo fece tremare ancora di più di aspettativa ed eccitazione. E Corrado l’aspettava. Non si era fatto troppe illusioni, ma sperava di vederlo. Il suono del campa-nello, alle tre in punto, lo colse mentre cercava di calmare l’eccitazione, facendo di tutto per distrarsi e non pensare. Corse alla porta. “Ciao” sussurrò Michele con il fiato corto. “Entra. Hai fatto bene a venire!” “Sono venuto solo per riprendermi il giornale. È di mio fratello e devo rimetterlo a posto!” “Non posso dartelo. Lo sai. No?” “Ma se Angelo…” “Angelo torna tra una settimana e se oggi ti restituisco il giornale, tu te lo consumi di seghe!” “Ma io…” “Riavrai il giornale fra una settimana!” “Allora me ne vado” azzardò Michele, sperando che Corrado lo trattenesse, ma volendo anche andarsene, perché tutt’a un tratto ebbe paura che quello gli facesse male come aveva già fatto la matti-na. Corrado l’afferrò per un braccio. “Tu resti qua e non ti muovi finché non te lo dirò io. Anzi, da oggi fino al ritorno di tuo fratello verrai qua ogni pomeriggio. A tua madre dirai che vieni a giocare a monopoli. Siamo d’accordo?” “Per fare cosa? Che mi vuoi fare?” “Vuoi il giornale?” Michele fece di si con la testa. “Allora devi fare quello che ti dirò io!” Lo tirò dentro e finalmente chiuse la porta. “Siamo d’accordo? Ogni pomeriggio!” “Va bene” disse Michele con un filo di voce “ma tu non mi devi fare troppo male!” “D’accordo!” Era fatta. Il ragazzino ci stava. Corrado non credeva alle proprie orecchie. Doveva essere pruden-te, però: Michele poteva spaventarsi e allora sarebbe stati guai. “Vieni con me” ordinò. Michele lo seguì ubbidiente. Provava un misto di paura e di eccitazione che lo faceva tremare. Rabbrividì. La pelle gli si incre-spò. Nella fresca penombra della casa, dove tutte le persiane erano chiuse e c’era una temperatura che contrastava con il caldo torrido del ballatoio, cominciò a tremare, senza più riuscire a controllarsi. Corrado lo portò nella sua camera e chiuse la porta. Ancora penombra, ma qua faceva più caldo. Smise quasi di tremare e si sentì consolato dal vedere il letto, una sedia, la piccola scrivania su cui Cor-rado studiava, l’armadio che riempiva tutta una parete. Fra quegli oggetti che erano in tutto uguali a quelli che c’erano in casa sua, non poteva accadergli nulla e Corrado non gli avrebbe fatto troppo male. “Lo sai che siamo soli? I miei genitori sono alle terme e per tutta questa settimana io sto qua. Va-do soltanto a mangiare da mia zia, ma poi me ne torno a casa.” “E stai sempre da solo?” “Si.” E andò a sedersi sul letto: “Vieni qua.” Il ragazzo gli si avvicinò, ancora un po’ tremante. “Hai paura?” “No… è che io non so…” “Vieni” gli disse quasi con dolcezza e l’attirò a sé, prendendolo per un braccio “non aver paura.” Ne accompagnò i movimenti, fino a farlo piegare e appoggiandoselo con la pancia sulle gambe. Michele si fece guidare docilmente. Teneva gli occhi chiusi ed era concentratissimo, perché sentiva che il momento temuto ed atteso era arrivato. L’eccitazione gli stava crescendo e l’uccello gli pulsava come se stesse per esplodere. “Ti ho fatto male stamattina?” “Un poco” disse piano, con la bocca che gli si era seccata per l’emozione. Timoroso che qualun-que risposta potesse non essere quella giusta. Che Corrado s’arrabbiasse e gli facesse male, o che, peggio, decidesse di lasciarlo andare, interrompendo quello che stava facendo. “Però credo che tu ne meriti ancora” disse invece “Hai l’uccello duro un’altra volta. Non è vero?” “Si” e arrossì, più per quello che pensava che per ciò che gli stava accadendo. Perché sentiva l’uccello di Corrado con la pancia. Quando si era chinato aveva fatto in modo di finirci quasi sopra e ora ce l’aveva sotto e lo sentiva quasi muoversi. Quando gli arrivò la prima sculacciata, quasi non sentì dolore, poi Corrado rese i colpi un po’ più forti e il culo cominciò a fargli male. Ma aveva ancora i pantaloncini e gli slip e poteva resistere. Quello che invece pareva più difficile, era di non bagnarsi di sborra le mutande. Ma Corrado l’aiutò, perché im-provvisamente smise. “Alzati. Fammi vedere!” Lui eseguì e Corrado lo fece voltare. E gli abbassò prima i pantaloni e poi mutande. Gli posò allo-ra la mano sulla spalle e lo fece inchinare. Lo tastò più volte, aprendogli e chiudendogli il culo. “Te ne posso dare ancora. Vieni!” Michele ubbidiente gli tornò sulle ginocchia. Stavolta a culo nudo. “Sei pronto?” “Si” disse meno convinto di prima. Già spaventato dal dolore che stava per soffrire. Aveva l’uccello schiacciato sulle gambe nude di Corrado, ma non ci pensava quasi più. Alla prima sculacciata, data con la mano aperta e su tutte e due le natiche, gridò, perché gli fece male. Poi Corrado lo colpì ancora, ma meno forte e lo fece lentamente. Ma continuò finché il culo non divenne rosso. Si fermò quando sentì che lui stava per piangere. “Non ne vuoi più?” Michele ebbe un singulto di pianto: ad ogni colpo aveva sentito sempre più il culo andargli in fiamme, ma poi quella sensazione di dolore si trasmetteva nel corpo e finiva nell’uccello che strusciava sulle gambe di Corrado. Ora però non ne poteva più di quel dolore. Ma insieme voleva che continuasse, che non finisse mai. Non rispose subito. Si mosse un po’ ancora, strusciandosi sulle gambe di Corrado. Si morse le labbra per non piangere, poi riuscì a parlare: “No aspetta un momento” bisbigliò. “Ti fa male?” “Si.” “Vieni” e lo fece alzare “stenditi sul letto.” Michele corse a mettersi a pancia sotto, il culo rosso esposto, l’uccello duro sulle lenzuola fre-sche. Affondò la faccia nel cuscino e sentì le mani di Corrado accarezzargli le natiche e scendere sulle gambe. Per risalire poi con i pollici e infilarsi nel solco, aprirgli lentamente il culo. Quell’ultimo movi-mento fu fatale. “No!” gridò improvvisamente e si voltò piegandosi su se stesso. Stava sborrando. E davanti a Cor-rado che lo guardava rapito. Ma a lui parve che lo stesse osservando accigliato, anzi infuriato e allora si affrettò a piangere. Perché non vide altra soluzione che sciogliersi in lacrime. Se davvero stava facendo una penitenza e poi sborrava, per giunta sporcando di sperma il letto di Corrado, allora non aveva che da vergognarsi. “Mi dispiace…” farfugliò fra le lacrime “Non mi sculacciare ancora, però. Non oggi per favore. Tor-nerò domani. Va bene? E mi farai quello che vorrai. Va bene? Per favore.” Corrado non credeva alle proprie orecchie: il pomeriggio successivo sarebbe stato ancora più in-teressante, ma per quel giorno aveva voglia di divertirsi ancora, visto che lui non era ancora venuto, nemmeno una volta. “D’accordo, vuol dire che domani riprenderemo da dove abbiamo lasciato. Ma non protesterai per nulla. Ti farai fare qualunque cosa. Va bene?” “Si” bisbigliò, contento che si parlasse di domani. Non più di oggi. Domani quello che voleva far-gli, ma domani. “Vieni a sederti sulle ginocchia” disse burbero Corrado. Lui, che era sul letto, piegato su se stesso e aveva ancora gli occhi pieni di lacrime, si alzò subito e sedendosi s’appoggiò sul cazzo duro di Corrado. L’uccello ancora bagnato dalla sborra di poco prima, dette quasi segno di riprendersi. Corrado l’accarezzò sul petto e fece scendere le mani fino al grembo. Sparse la sborra facendola seccare sulla pancia, poi gli prese l’uccello e lo scappellò, tirando indietro la pelle: “Ti fa male?” “Un poco.” Tirò ancora e a Michele sfuggì un gemito, anche se quel movimento glielo stava facendo tornare duro. “Lo sai che il mio si scappella tutto?” disse Corrado. Istintivamente il ragazzino si mosse per sentire col culo l’uccello duro su cui era adagiato Corrado fece ancora andare la mano, fino a che il piccolo pene non fu duro un’altra volta. “Lo vuoi vedere?” chiese. Non credeva alle sue orecchie: Corrado era disposto a fargli vedere l’uccello! Fece subito di si con la testa, allora Corrado lo fece sedere su una sola gamba e tirò fuori il caz-zo, facendolo uscire dai calzoncini. Era una cappella enorme, rosso fuoco, completamente esposta, perché la pelle era tutta tirata indietro a causa dell’erezione. L’elastico degli slip teneva il cazzo attac-cato alla gamba. Michele restò senza fiato. “Lo vuoi toccare?” Allungò la mano tremante. “Fai piano. Sto per venire!” Michele posò le dita fredde per l’emozione sulla cappella congestionata, poi si fece coraggio e l’afferrò, tirandolo leggermente. Strinse l’uccello nel palmo della mano. Corrado venne quasi subito, bagnandogli la mano e sporcandosi la gamba. Alcune gocce di sperma finirono per terra. Michele fissava affascinato la forza di quell’orgasmo. I gemiti di Corrado lo impressionarono. La quantità di sperma emessa l’incantò. Aveva la mano impiastricciata, ma non smise di accarezzare l’uccello, finché Corrado non lo fermò con delicatezza. “Mi fa male. Hai visto com’è grosso?” Michele non rispose, ma il suo sguardo fu eloquente. Il ragazzino era affascinato e Corrado ebbe un’altra idea. Ancora più indecente. Solo per un momento si chiese dove si sarebbe fermato, ma il dub-bio durò solo un attimo, perché Michele aveva allungato un’altra volta la mano per accarezzargli l’uccello. Aveva una settimana di tempo e poi chissà, ma in quella settimana avrebbe fatto tutto. E allora seppe quando si sarebbe fermato. “Vuoi vederlo duro un’altra volta?” “Si!” disse subito il ragazzino in un soffio. “Ma devo farti una cosa, altrimenti non mi diventa subito duro!” “Che cosa?” Era impaurito. Non voleva altre sculacciate. “Lascia fare a me e non ti farò male! Te lo prometto!” “No. Non voglio!” Tentò di sottrarsi, ma Corrado lo bloccò e gli strinse il braccio, fino a che un gemito non gli sfuggì dalle labbra. “Tu farai sempre quello che dirò io! Chiaro?” e lo scosse. “Si!” Il ragazzino era completamente nudo, mentre lui era ancora vestito. Questo gli diede un’altra idea che l’avrebbe addolcito un poco, dandogli un contentino. Sapeva che gli sarebbe piaciuto. Ne era certo. “Adesso mi spoglio anch’io. Vuoi?” Assentì subito, curioso di vederlo nudo. Di vedergli tutto l’uccello per quanto doveva essere gros-so e poi tutti i peli che doveva avere. Dimenticò tutto quello che poteva ancora accadere. “Vieni, mettiti qua” e lo fece sedere al letto. Michele fu docile. Lui s’alzò e gli si mise davanti. Cominciò a togliersi la maglietta, ormai madida di sudore. S’abbassò i pantaloni e le mutande d’un colpo e si mostrò nudo a Michele che lo guardava a bocca aperta, con l’uccello duro in mano. “Non toccarti senza il mio permesso!” gli gridò, colpendolo sulla mano, poi s’addolcì “Ti piace il mio uccello?” Michele non rispose, ma continuava a mangiarselo con gli occhi. Non riusciva a credere a quello che gli stava accadendo. “Per farlo tornare duro come prima devo fare una cosa. E tu me la farai fare.” Si avvicinò, posandogli un braccio sulle spalle. Poi gli si sedette accanto, gli prese una gamba e la sollevò passandosela sul grembo. Lo spinse un po’ indietro. L’attirò a sé e l’avrebbe baciato se ne avesse avuto il coraggio, invece con la mano libera gli acca-rezzò il cazzo e poi scese fra le gambe a cercare il buco. Indugiò con le dita sul bordo rugoso e spinse leggermente. Michele si contrasse tutto, ma lui riprese ad accarezzarlo e poi spinse un po’ di più. L’abbraccio si fece forte. Il ragazzino era bloccato. Corrado lo stringeva a sé e con l’altro braccio gli fer-mava la gamba. Quelle carezze forti, quella specie di abbraccio, l’uccello duro e l’uccello di Corrado schiacciato contro un fianco, gli piacevano. Un po’ meno gli piaceva sentire le dita di Corrado giocare con il suo bu-co. Le sentiva seguire il bordo e poi scivolare dentro, spingere e poi fermarsi, finché la sensazione che provò fu diversa. C’era qualcosa dentro di lui. Il dito già si muoveva dentro. Faceva male e gli sfuggì un piagnucolio. Corrado si fermò spaventato. Poi riprese più lentamente. Dentro e fuori. Si masturbava contro la coscia di Michele e vedeva che il ragazzino, non stava più soffrendo per la penetrazione. Lo strinse di più a sé ed accelerò i movimenti. La mano con cui stava scopando Mi-chele divenne più aggressiva. Sentiva i cazzo scoppiargli, si mosse di più e subito venne, bagnandosi la pancia. “Mi fai male…” piangeva Michele, ma lui continuò a forzargli l’ano, finché non si fu calmato. E an-che dopo non sfilò il dito. “Fa parte della punizione” disse “È perché tu non hai voluto le sculacciate. E allora devi stare così. E non piangere. Va bene?” Fece una faccia così cattiva che Michele cercò di smettere di piangere, ricacciando le lacrime in-dietro. “Sei stato bravo e ti meriti un premio” disse allora. Sempre tenendogli il dito in culo, con l’altra mano cominciò a fargli una sega. Quando il ragazzo prese a muoversi, assecondando i movimenti, lui spinse il dito ancora più a fondo, ma questa volta Mi-chele non pianse. Il dolore si fece più acuto, ma all’orgasmo era vicino. E giunse mentre Corrado ormai faticava a reggerlo, tanto scomposti e violenti erano i movimenti che faceva. Solo dopo che si fu calmato, si mosse per liberarsi dal dito che lo torturava, ma Corrado lo bloccò ancora. “Hai avuto il premio, ma devi restare ancora così. Adesso devo punirti!” “No toglilo. Levalo, mi fai male. No!” E muoveva i fianchi per sottrarsi a quella costrizione, ma Corrado lo bloccava e tutti quei movi-menti finivano per aumentare la chiavata che stava subendo. “Adesso lo tolgo, perché è che così vuoi tu. Ma poi ti vesti e te ne vai! Capito? E non torni più!” gli gridò nell’orecchio. Michele lo guardò spaventato. Era combattuto: voleva andarsene, perché adesso aveva paura, ma stava anche provando delle sensazioni che mai avrebbe immaginato di poter sperimentare. “Se non fai tutto quello che voglio” ribadì Corrado “vattene! E quando torna tuo fratello…” Queste ultime parole furono dette mentre forzava il buco con il dito, premendolo sempre di più. Michele allora si decise a restare. Per paura e per desiderio. Si rilassò, appoggiando il capo sulla spalla di Corrado e attese paziente la fine del gioco. Solo allora Corrado lo liberò della stretta, ma non sfilò il dito. Michele allora si mosse, cercando ancora il movimento che sentiva dentro. “Allora, ti piace?” gli sussurrò Corrado. E lui fece di si con la testa, perché adesso si che gli pia-ceva. “Vuoi farlo ancora domani?” “Si” sussurrò. Corrado, sempre accarezzandolo con l’altra mano, per due o tre volte gli sfilò completamente il dito e poi lo rinfilò. Poi lentamente lo tolse e l’abbracciò. Se ne stettero un po’ così, in quella posizione affettuosa che nessuno dei due comprendeva com-pletamente. Il piccolino s’alzò. Senza parlare si rivestì. Al momento di andarsene si volse a Corrado e chiese: “Allora? Vuoi che venga anche domani?”

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