Gay Erotic Stories

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Ricatto

by Lenny Bruce


Era la fine di luglio e faceva molto caldo, ma non abbastanza, perché si andasse al mare, perché quel giorno il mare era un po’ agitato. Fu per questo che ciondolò in casa fino alle dieci e mezza, poi si decise. Se ne andò nella sua camera. Sua non proprio, perché era del fratello maggiore e lui là dentro ci poteva solo dormire. Ma Aldo era al campeggio e in quella settimana lui poteva godersi tutto lo spazio, che in realtà era piuttosto limi-tato. Proprio quella mattina, dopo che la mamma se n’era andata a fare la spesa, aveva cercato. E in-fine era riuscito a trovare, sotto i cassetti dell’armadio, ben nascosti a tutti e soprattutto a lui, i due gior-nali pornografici che Aldo aveva comprato settimane prima e con i quali andava a farsi le seghe nel ga-binetto. Lui aveva notato tutto, perché aveva sempre finto di dormire, ma, pur sapendo che erano nell’armadio, non immaginava che sotto i cassetti ci fosse uno spazio segreto. Ed ora l’aveva trovato. Con uno dei giornali in mano, tremante perché non sapeva cosa aspettarsi da quello che era chiuso tra quelle pagine, si era diretto verso il bagno, ma aveva sentito un rumore di chiavi fuori della porta: era sua madre che rientrava. Ci aveva rimuginato per più di un’ora, poi aveva avuto l’idea. S’era ricordato della tana, come la chiamava suo fratello. Sulla terrazza del loro condominio c’era uno spazio nascosto fra i comignoli, ripa-rato anche dal sole, dove potersi nascondere. Aldo gli aveva sempre raccontato che erano solo i ragazzi del palazzo a conoscerlo. Non che lui ci credesse, ma in quel momento aveva un’assoluta urgenza di essere da solo e quel posto gli sembrava l’unico ed il migliore. Salì in fretta dal primo piano, dove abitavano, all’ultimo e poi sul tetto, infilò tremante la chiave nella porta di ferro che come al solito cigolò tanto da avvertire tutto il palazzo che qualcuno stava an-dando là e corse sulla terrazza. Teneva uno dei due giornali sotto la maglietta e già il sudore gli stava bagnando la pancia, con degli effetti che temeva terrificanti sulla copertina plastificata della rivista. Là sopra non c’era nessuno, fortunatamente. Raggiunse di corsa il posto e andò ad accoccolarsi contro un muretto, una sporgenza del muro maestro, quasi una panca. L’angolo era riparato, un quadri-latero al centro della terrazza del palazzo, nella rientranza tra i muri delle vecchie lavanderie. Era aperto solo su un lato, ma anche là c’erano i comignoli che lo nascondevano alla vista. E in ogni caso, in quelle mattine d’estate la terrazza era poco frequentata. Le prime pagine non ebbero l’effetto immaginato. Aveva tredici anni e da un paio di mesi le seghe non erano più un mistero. Per il sesso la faccen-da era naturalmente più complessa, ma in quel momento quelle ragazze, o donne, erano troppo simili a sua madre e lo intimidivano. Quando era arrivato sul terrazzo ce l’aveva duro e stava per venire nelle mutande. Era l’eccitazione per quello che stava facendo: finalmente avrebbe visto una donna nuda ed avrebbe capito come ci si eccita davvero e come si fa l’amore e tutto il resto. Avrebbe capito cos’era che faceva tanto effetto sugli altri. Ma gli si ammosciò immediatamente: quelle ragazze nude lo misero a disagio. Sentì la faccia av-vampargli e l’uccello, che stringeva speranzoso in una mano, si afflosciò. Stava là gettato contro il muro, seduto a gambe larghe, i pantaloncini giù, alle caviglie, le mutande abbassate solo il necessario per tira-re fuori l’uccello. Era stato un estremo gesto di pudicizia a non farlo denudare completamente. Oppure la delusione per quello che stava vedendo, oppure, e forse era così, la paura di venire al solo toccarsi, al solo sentire l’aria, il vento sfiorarlo fra le gambe. In quel gesto incompiuto di nudità, continuò a girare le pagine e finalmente riprese interesse: un uomo, con in mano il cazzo più grosso che lui avesse mai visto, si apprestava a infilare proprio una di quelle donne che prima con le loro forme impudiche l’avevano deluso. Chiuse gli occhi, immaginò che quello fosse il suo salvatore e che stesse punendo, trafiggendole, quelle donne che volevano fargli del male. Questa fantasia bastò a riaccenderlo. Riprese a menarsi il cazzo, che gli era ritornato miracolo-samente duro, e stava per godere quando un fruscio, un rumore leggero, gli fece riaprire gli occhi e da-vanti a sé vide il suo vicino di casa. Corrado, coetaneo di Aldo, aveva quindici anni. Avrebbe dovuto essere al campeggio anche lui, ma evidentemente non c’era andato. Si sentì mancare. Farsi cogliere dal suo superiore nell’associazione cattolica con le mutande ab-bassate e l’uccello in una mano, mentre nell’altra teneva una rivista porno rubata al fratello, gli parve troppo per la suo giovane vita. Ma non svenne, come aveva sperato. Gli si riempirono gli occhi di lacri-me, balbettò qualcosa e rimase dov’era, là per terra, a ginocchia larghe e piedi uniti, stretti dai pantaloni che non si era levato. Anche Corrado rimase immobile, perché, pur non essendo sorpreso avendo seguito e spiato il ra-gazzo, non si aspettava che fosse tanto facile coglierlo a fare qualcosa di proibito. Era quasi arrabbiato per averlo trovato così, ma sentì montargli dentro l’eccitazione. Trovarselo là per terra con l’uccello in mano era più di quanto sperasse. Quel ragazzino gli era sempre piaciuto ed ora ce l’aveva in pugno. “Sei un porco!” “Io… no, Corrado, no. Ti prego! Non dirlo a nessuno. Non a mio fratello!” A lui non fregava niente di dirlo qualcuno. Era soltanto molto arrapato e voleva divertirsi. Fu allora che gli venne l’idea: “Io posso non dire niente a nessuno e non parlerò, perché non fac-cio la spia. Ho solo sentito dei rumori e sono venuto a vedere quello che succedeva.” Michele a quel punto pensò di essere quasi salvo. “Ma quello che mi preoccupa” continuò invece, subdolamente, Corrado “è che tu stai facendo un peccato dietro l’altro e che ora dovrai andare a confessarli tutti!” Il ragazzo fece la faccia terrorizzata, perché non aveva certo pensato a quell’aspetto della vicenda. Il terrazzo era ancora più vicino al cielo e c’era Dio cui dare conto, altro che la mamma e Aldo. “Ci andrai?” chiese Corrado. Il cenno di assenso, fatto con tutta la convinzione possibile da Michele, ovviamente non convinse Corrado che aveva la sua bella idea da mettere in pratica. “Non ti credo, perché ti vergognerai troppo a dire tutto al parroco. Che ti fai le seghe e che hai ru-bato la rivista porno ad Aldo e così andrai a mettere nei guai pure tuo fratello che quando tornerà ti rom-perà tutte le ossa ad una ad una. Anche tua madre lo saprà. E allora saranno guai davvero…” Michele era ormai nel panico, perché aveva capito che Corrado aveva ragione in tutto e che in ap-parenza non c’era altra soluzione al problema che restare nel peccato e finire all’inferno. Che al mo-mento gli sembrava la soluzione meno dolorosa, comunque. “Come devo fare?” chiese con un filo di voce, mentre finalmente si alzava, rivestendosi. Era così intontito che non s’era reso conto di essere ancora con le mutande abbassate. Questo scontentò parecchio Corrado che fino a quel momento s’era goduto quella nudità. “Non lo so proprio! Certamente devi confessarti. Come farai a tenere fuori tuo fratello e a non far-gli sapere niente, non lo so, però?” “Tu non gli dirai niente?” “Te l’ho detto che non faccio la spia!” “Allora il problema è solo che ho fatto peccato?” “Solo?” e calcò la voce per mostrargli quanto fosse scandalizzato da quelle parole “Ti pare poco? E tutto quello che ti abbiamo insegnato? Quante seghe ti sei fatto fin adesso senza confessarti?” Si guardò le punte dei piedi che uscivano dai sandali. E chi le aveva contate! “Lo sai che masturbarsi è peccato?” “Si” mugugnò. “Forse una soluzione c’è!” “Davvero?” “Si, ma… ci vado di mezzo io e non so se faccio bene.” “Ti prego, Corrado, farò qualunque cosa dici. Quello che vuoi!” “Alle tue penitenze per questa settimana posso pensarci io!” “E non lo saprà nessuno? Non dirai niente a nessuno?” “No. Stai tranquillo!” “Grazie!” E fece per abbracciarlo, ma Corrado si scostò. “Lo faccio solo perché ci conosciamo e perché sei nell’associazione cattolica e di peccati ne hai fatti abbastanza.” “Che devo fare, allora?” Corrado era indeciso se cominciare subito a fare quello che aveva in mente. Doveva farlo già là, in qual momento, perché erano al sicuro. A nessuno sarebbe venuto in mente di andare a guardare là die-tro. Voleva almeno un assaggio di quello che l’aspettava. Che sarebbe stato davvero tanto. Per tutta la settimana e forse anche dopo. Ma con Michelino ci voleva prudenza. “Prima di tutto voglio sapere se ti masturbi.” Attese una risposta che non venne, perché Michele era arrossito e guardava per terra. “Beh? Te le fai?” “Si” ammise finalmente a voce bassissima. “Quante volte al giorno?” “Una volta. Non sempre!” “Giura!” Il ragazzo esitò, poi si decise: “Lo giuro!” “È la verità?” Ancora un’esitazione. “Allora? Se è la verità, puoi giurarlo su Dio!” “Non mi va di giurare così” tentò di ribellarsi. “Qua è come in confessione, se non l’hai capito” la stava sparando grossa, ma sperava che il ra-gazzino ci cascasse “e, anche se non sono un prete, posso punirti. Hai capito?” “Si”. Ci cascò. “Allora, non puoi giurare su Dio, vero?” “No” disse Michele con un filo di voce. “Mi hai appena detto una bugia. E l’hai anche giurata. Ti ricordi che è come in confessione? Lo sai che è un sacrilegio?” “Si” con un filo di voce. “Adesso dovrò punirti. Vieni qua!” ordinò. Erano in piedi, uno di fronte all’altro e lui andò ad appoggiarsi alla sporgenza contro cui si era si-stemato Michele per stare comodo a guardarsi la rivista porno. “Ho detto vieni qua” insisté Corrado, vedendolo esitare. Il ragazzo gli si avvicinò timoroso e lui l’afferrò per un braccio. “Piegati” e gli fece abbassare le spalle, bloccandolo con un braccio, mentre con l’altra mano lo colpì sul sedere. Al primo colpo Michele strillò, colto di sorpresa. “Stai zitto, altrimenti è peggio” gli sibilò l’altro, fingendosi infuriato. Ma in realtà era soltanto preoc-cupato che nessuno li sentisse. Lo colpì di nuovo e questa volta Michele gemette molto più piano. “Ho detto di non fiatare!” E ancora colpi forti, cinque o sei, finché Michele non stette completamente zitto. Quando lo lasciò andare aveva l’affanno. Il piccolo aveva le lacrime che gli scendevano sulle guance, ma non s’azzardava ad emettere suoni. Allora l’attirò a sé: “Ti ho fatto male?” “Si!” reprimendo un singhiozzo. Gli avvicinò una mano tremante al sedere e l’accarezzò. “Va meglio?” “Si!” un mormorio. Gli fece appoggiare la testa sulla spalla e l’abbracciò, senza smettere di massaggiargli le natiche. “Ti piace così?” Ancora un mormorio di approvazione. “Sarà rosso. Vediamo?” “No, mi vergogno!” “Qua non ci vede nessuno e poi di me ti fidi, no?” Dicendolo gli abbassò i pantaloncini. Ancora carezze e massaggi, poi lentamente fece scendere gli slip, mettendo a nudo il sedere tondo ed arrossato dalle sculacciate. Il ragazzo di era un po’ irrigidito, ma lui continuò ad accarezzarlo. “Ti piace?” “Si!” Gli sembrò che il tono fosse cambiato. C’era già desiderio in quella voce? Poteva essere: pensò di accertarsene e l’accarezzò davanti. L’uccello di Michele era duro e puntava diritto sollevando i panta-loncini che erano abbassati ancora da dietro. Lo sentì gemere. Gli abbassò del tutto i pantaloni e le mutande. Pochi peli contornavano un pene già ben formato e anche le palle erano sviluppate. Si fermò perché stava per venire nelle mutande e non era ancora il momento. Michele lo guardò con delusione. “Sei un porco e fai schifo! Inginocchiati.” Il ragazzino lo guardò incredulo, ma eseguì abbassandosi subito. “Ti accarezzo per farti passare il dolore e tu te lo fai diventare duro e poi stai per farti un’altra sega. Vieni oggi pomeriggio alle tre a casa mia. Continueremo là!” Michele fece per alzarsi. “Chi ti ha detto di muoverti?” S’abbassò un’altra volta, ma l’asfalto che copriva il terrazzo gli faceva male sotto le ginocchia. Si mosse a disagio. “Mi fa male. Non posso stare così” piagnucolò. “Se vuoi alzarti e andartene devo sculacciarti un’altra volta!” e andò a sedersi sulla panca di pie-tra. Michele allora si alzò e a testa bassa gli si avvicinò. Corrado lo prese delicatamente per un brac-cio e se lo mise sul grembo a pancia sotto. Sulle gambe nude sentì subito l’uccello di Michele, ormai moscio per la paura di essere colpito. Di fronte aveva il culo del ragazzo, ancora un po’ rosso per le precedenti sculacciate. Il primo colpo, forte, con il palmo aperto, centrò entrambe le natiche e strappò uno strillo a Mi-chele. Il secondo fu più leggero e colpì una sola metà del culo. Continuò alternando la parte che per-cuoteva. Erano colpi leggeri. Più sonori che dolorosi. E Michele rispose a quella specie di massaggio. L’uccello gli tornò duro molto in fretta. Corrado gli disse di alzarsi. E l’uccello duro spuntò un’altra volta diritto. “Volevo vedere se eri davvero come sei e mi fai schifo! Vieni oggi alle tre e vedi di essere pun-tuale. Adesso rivestiti!” Michele scappò via per la vergogna. Corrado invece, dopo che ebbe sentito chiudersi la porta di ferro della terrazza, si accomodò sulla panca e cominciò ad accarezzarsi l’uccello che gli stava per esplodere. Lo tirò fuori e prima che potesse pensare a menarselo venne, sporcandosi le mani. Se le leccò. L’uccello era ancora duro. Allora prese davvero a menarselo e dieci minuti dopo veniva un’altra volta. Per quella che era la sua esperienza, quel pomeriggio Michele avrebbe visto almeno altre sei eiaculazioni e Corrado voleva fargliele vedere tutte.

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Ricatto

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Ricatto, Parte Seconda

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Web-02: vampire_2.0.3.07
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