Gay Erotic Stories

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Monster Cock, Part 2

by Ron Oliver e Michael Rowe


20 marzo 1889 Per tutta la notte fui torturato da sogni di terrificanti voci spettrali che invocavano sangue, e mi risvegliai la mattina seguente tremando per il freddo e l'umidità. Ritornando dai suoi vili baccanali notturni di bevute e mignottate Willard non si era occupato del fuoco, e il carbone dietro la grata si era spento. Imprecando, scossi quello stupido ragazzo e mentre cercavo di farlo alzare, egli biascicò qualcosa di pastoso nel sonno. Maledicendo quello zotico ubriacone, calciai le lenzuola di lato e gli saltai in cima, e quindi aprii quelle pagnotte gemelle del suo perfetto culo pallido. Quello sciocco mi avrebbe tenuto caldo con il suo corpo se non era in grado di attendere a quel dannato caminetto. Sputai sull'uccello e lo ficcai in quel caldo budino che era il suo culo. Egli mormorò qualcosa, che avrebbe potuto essere una protesta, ma lo ignorai e principiai ad alesare e arare. Con mia sorpresa Willard si mosse appena, sotto di me. Incrementai la velocità della mia scopata e schiaffeggiai le sue chiappe di avorio, prima gentilmente poi con rudezza crescente. Quando urlai per il mio scaricamento, l'imbecille si svegliò e, evidentemente avvinazzato, gridò di stare attento alle assi del soffitto che venivano giù. Con mio sommo disgusto, realizzai il motivo della sdrucciolevole facilità con cui avevo penetrato Willard. Le sue interiora erano viscide per l' erogazione di qualcun altro! (Willard aveva sempre goduto di una familiarità di dubbio gusto con marinai e altra feccia del lungofiume, ed io avevo cessato da tempo di meravigliarmi per il piacere con cui si attaccava ad una tale non appetibile compagnia.) Turbato, calciai duramente il ragazzo giù dal letto, che cadde sul pavimento ammassandosi in modo scomposto. Feci la mia pulizia e mi vestii mentre Willard preparava la colazione. Mi raccontò che i pub della zona dei moli erano pieni da scoppiare di frotte di marinai mercantili e attaccabrighe, membri di ciurme oziose i cui capitani avevano ritardato la partenza dei loro vascelli, a causa dell'approssimarsi di una tempesta di grande ferocità. The Sailor's Almanac aveva previsto a Marzo una barbara burrasca, adatta né agli uomini né alle bestie, e il vento aveva già iniziato a fischiare da nord. Confesso che le mie pulsazioni accelerarono non appena sentii quelle notizie. Avevo allora attaccato quelle due braccia perfette che avevo ottenuto la settimana precedente da quell'esemplare al molo, e che si inserivano esattamente nel resto. Per qualche piacevole gioco del fato, la carne e la muscolatura di quelle braccia squisitamente virili è uniforme, in tono e consistenza, con le altre parti del corpo che ho messe insieme. Immaginavo, allora, gli arti, il torso, il bel viso, tutti assopiti senza vita nel loro freddo grembo smeraldino. In attesa. Le tempeste di primavera avevano radunato fuori questa squallida svendita, la più strana di tutte le Betlemme possibili. Prego che la loro furia cresca commensurata ai miei bisogni. Tutto quello di cui ora avevo bisogno era il cazzo perfetto. 23 marzo, 1889 Nuvole minacciose dall'oceano oggi, e nessun uccello ancora. C'era stato il marinaio napoletano con un culo superbo, polposo e dolce di sudore, e quando il mio cazzo gli era scivolato dentro avevo trovato ancora spazio per le dita. Ma sfortunatamente, era dotato con uno di quelle zucchine italiane, saporite, ma smilze, che certamente non si sarebbero adeguate ai miei bisogni. E l'artista olandese, un tipo dai modi bruschi che aveva bisogno di soldi per comperare i colori ed era troppo felice di accettare i miei in cambio di un'ora del suo corpo abbandonato sulle sue tele non ancora terminate. Il suo organo paffuto e non circonciso sembrava promettere ma quando raggiunse la piena misura, curvava fuori in regioni non ancora segnate sulla carta geografica come se avesse avuto una mente tutta sua. E il ragazzo spagnolo che distribuiva i teli al bagno locale, il cui corpo liscio e lucente lasciava credere, anche solo per un momento, nell'esistenza di dio, ma il cui fallo massiccio non riusciva neanche a raggiungere un pretesto passabile per un'erezione. E il soldato tedesco che sembrava l'ideale fino a che i suoi pantaloni caddero giù rivelando un fagotto di stracci che nascondevano una ferita di guerra veramente deprecabile. Potrei andare avanti ma la misera di questa situazione mi opprime.Penso che stanotte mi sfogherò un po' con Willard. E' stato particolarmente insolente quest'oggi, facendomi, in verità, notare che i suoi genitali sarebbero bastati alla bisogna. E' toccante la devozione che il sempliciotto dimostra al mio lavoro, ma mi occorre un assistente con un corpo capace, e non un castrato. 25 marzo 1889 Pensai che tutto fosse perduto questo pomeriggio. Mentre mi affaticavo fra gli alambicchi e le provette nel mio laboratorio improvvisato in una stanza del piano superiore, quando Willard era via, dal pescivendolo, e quindi non era in grado di porgere le mie scuse, udii un colpo secco alla porta. Avevo pagata la mia pigione in anticipo di molti mesi, quindi non avrebbe potuto essere la signora Teasdale. “Chi è?” urlai allarmato. Non sono avvezzo ad avere visite a Whitechapel, giacché nessuno, a parte Willard e la padrona di casa, conosce questo mio domicilio. La mia famiglia dimora nella nostra ancestrale residenza nel Wiltshire, e mi crede in un viaggio attraverso l’Africa alla ricerca di cure tribali. “Polizia!” venne da una voce dall’altra parte della porta. “Per favore, aprite la porta signore. Mi piacerebbe scambiare qualche parole con voi se è possibile.” “Un momento, ” urlai, sistemandomi il vestito e lisciandomi i capelli. Un colpo freddo mi attraversò da parte a parte come uno sparo mentre toglievo la cordicella della porta, ma il mio terrore si temperò in sbigottimento e desiderio quando apersi l’uscio. Il poliziotto aveva forse venticinque anni. Aveva una bella pelle, gli occhi celesti e i capelli biondi da giovane leone sotto quell’assurdo elmetto sbucavano fuori a mo’ di una gorgiera aperta. Discretamente, studiai il corpo possente al di sotto dell’uniforme, e il mio sguardo si soffermò sulla pressione che l’accentuata virilità esercitava contro la stoffa dei pantaloni. “Posso aiutarvi?” blaterai finalmente, riprendendo possesso di me. “Ma che maniere, entrate per favore.” “Grazie, signore, ” disse, passandomi accanto con il profumo pulito del fresco sapone di pece. Il suo accento plebeo, ruvido non dispiaceva all’orecchio. Desideravo ardentemente si sentirlo ancora, ma il mio terrore ritornò con le parole successive. “Stiamo investigando sulla scomparsa di un marinaio chiamato Seamus Quinn. Una certa Eliza Moggs, moglie di un proprietario del Bull’s Head Tavern vicino ai moli, afferma che un uomo che corrisponde alla vostra descrizione è stato visto lasciare la taverna con il signor Quinn. Lo conoscete, signore?” “Il signor Quinn, dite? Affermai pensieroso, tirandomi il lobo dell’orecchio. La paura è il migliore anestetico di se stessa, e più ne ero preda, più apparivo calmo. “No, agente, non credo di conoscere quel galantuomo.” “Vivete qui solo, signore?” Guardando intorno per la stanza con qualche interesse. Sorrise con l’aria di chi la sa lunga e disse: “ La vostra padrona di casa ci ha riferito che avete …un galantuomo…come amico.” Si era giunti a questo adesso, pensai acidamente. Dopo la profusione di terribili crimini contro dio e l’uomo in nome della scienza, sarei stato arrestato per mera sodomia, e tutto perché quell’imbecille di Willard e la sua incapacità a tenere serrate quelle maledette chiappotte. “Ah, vi riferite forse al mio domestico Willard.” Replicai untuoso. “E’ fuori. Desiderate una tazza di te? Siete affamato? Un biscotto, forse ?” Il poliziotto sembrò essere stato colto di sorpresa dalla mia improvvisa ospitalità ma io continuai imperterrito. “Una bevanda fresca? Qualcosa di rinfrescante? Per favore,” dissi gettandolo a sedere in una poltrona” accomodatevi.” La stanza sembrò improvvisamente molto calma. Egli sorrise sornione, in un palese riconoscimento della situazione, e aprì le ginocchia leggermente. I suoi occhi celesti sostennero il mio sguardo, e l’idea diabolicamente affascinante che solo da poco aveva attraversato strisciando la mia mente sembrò completamente plausibile. “Quinn, probabilmente è tornato in Irlanda,” affermò il poliziotto togliendosi l’elmetto. “Causano sempre dei pasticci, questo è tutto.” “Oh davvero,” sussurrai complice, meravigliandomi del mio sangue freddo. “E’ spaventoso, drizzare…le braccia contro la Corona.” Spinse uno dei suoi stivali lucidi contro il mio inguine che si ingrossava. “Il vostro domestico?” “Willard è al mercato,” dissi, inginocchiandomi di fronte a lui, facendo strisciare le mie dita come ragni verso il primo bottone dei pantaloni dell’uniforme. Il bozzo che avevo notato la prima era triplicato con facilità. Egli improvvisamente premette una mano callosa contro la mia per tenerla ben giù. “E’ chiusa la porta ?” sospirò fiocamente, leccandosi le labbra. “Non vi preoccupate,” mormorò. Sa forse qualcuno che voi siete qui?” Egli scosse il capo. “Investigazione indipendente.” Io assentii e ritornai alla patta, sentendo la sua virilità che si irrigidiva sotto le dita, e il mio uccello che si induriva come risposta. Quando tirai via la stoffa, rimasi con il fiato corto. Il manico era spesso tanto quanto era lungo, ed era anche mirabilmente scolpito. Liberato dalla biancheria restrittiva, si slanciava in alto come una colonna di marmo senza difetti annidata in un tettuccio di paglia di peli biondi. Apersi le mie labbra leggermente, e feci scivolare il cappuccio del sesso di nuovo a posto. Avrei avuto tempo in seguito per esplorarlo. In quel momento, avevo trovato il cazzo perfetto. 29 marzo, 1889. Accadde tutto così all’improvviso che ho trovato a stento il tempo per scrivere quanto segue. Vi basti sapere che gli eventi di questa notte mi hanno lasciato con le mani tremanti, e non per la ragione che uno potrebbe facilmente supporre. Quando infine la tempesta arrivò, giunse in un baleno. Ebbi pochissimi minuti per preparare tutto l’apparato. Trasferii il Corpo dal suo nascondiglio segreto e lo misi a giacere su di una lastra di quercia nel mezzo della stanza, proprio sotto il lucernaio. La sua forma scura giaceva immobile, le braccia ai lati, e le gambe leggermente aperte. Il pallido palo perfetto del giovane poliziotto stava steso di sbieco maestosamente su di una coscia muscolosa, e i punti freschi appena si intravedevano fra i biondi ricci alla base. Willard, nudo sotto la cerata, portava goffamente un lungo palo di metallo su per la scala e lo puntò al cielo. Mentre lottava per assicurare il palo nel suo alloggiamento all’apice di un tetto a punta, le nuvole si aprirono con un fragore di tuono e rilasciarono la loro carica infernale giù sopra di noi. “Willard” strillai sopra la tempesta. “Willard!” Una volta piazzato il parafulmine, il ragazzo incespicò giù per la scala, zuppo fino all’osso, e poiché il suo cappotto sbatteva nel vento forte che soffiava attraverso il lucernaio potei vedere la sua erezione che luccicava bavosa. Lo avvicinai a me e gentilmente gli carezzai il viso, sentendo compassione per la prima volta in molti anni. Sarà stata la pioggia. Con colpo violento, strappai il suo indumento, forzandolo ad inginocchiarsi davanti a me. Mi tolsi con forza i vestiti di dosso, rimanendo nudo io stesso contro gli elementi. Afferrai un pugno dei capelli bagnati di Willard, scaraventando la sua faccia contro il mio inguine. Il mio cazzo, già che già si stava indurendo per la forza della tempesta, si allungò ulteriormente, stimolato dalle somministrazioni del ragazzo. I fulmini balenavano, illuminando i suoi occhi mentre guardavano in su nei miei con una strana mescolanza di paura e ilarità. “E’ ora!” urlai, tirando fuori di bocca il mio uccello duro. “Gli elettrodi, i fili!” Willard corse via mentre io saltai sopra la lastra, sollevando le gambe del Corpo fino a che il suo buco di culo assopito non fosse sposto al cielo roboante. Il mio uccello scivoloso per la pioggia conficcai dentro, gridando di desiderio. “Dannato ragazzo,” urlai ” “Più veloce. Più veloce!” Afferrando i bordi della lastra, depredai l’ano della Cosa fredda e bagnata sotto di me, mentre Willard raccoglieva i fili necessari e correva attraverso la stanza. Un rombo sinistro venne da sopra. Il momento ci sovrastava! Lo stupido ragazzo scivolò sulle mattonelle bagnate, incespicando a faccia in giù, schiacciando l’uccello eretto contro di se. Ignorai il suo grido di dolore; avrebbe sofferto abbastanza presto. Egli si strascicò al buio per terra e mi portò i fili. Due lunghi fili di rame, isolati con della garza, strisciavano giù dal parafulmini sul tetto, correvano giù attraverso il lucernario unendosi nel lungo manicotto di velluto che Willard teneva in una mano tremante. Ossequiente Willard fece scivolare via la copertura e tenne in mano, ben in alto, un dildo di rame di 25 cm. La tempesta infuriava. Io fottevo sempre più forte fino a quando non sentii la pressione che scrosciava dai miei gioielli tesi. Guardai su dentro le nuvole mentre il brontolio sopra esplodeva in un tuono, e sapevo che il momento era a portata di mano. “Ora!” urlai. Willard mi conficcò il dildo in culo, e la sua solida lunghezza cauterizzò la profondità delle mie viscere. La mia testa scattò all’indietro mentre urlai di dolore. Il mio grido annegò in un singolo colpo di fulmine che cadde giù attraverso il cielo, colpendo il parafulmini sopra. La corrente si lanciò lungo il palo, nei cavi, attraverso i fili tracciando un sentiero di fuoco blu nel mio profondo. Sbraitai di nuovo, il mio corpo si inarcò, i muscoli si tesero, fustigati dalla corrente pulsante della tempesta. “Uno, due, tre…” contò Willard, con gli occhi incollati al dildo incastrato in culo. Con il glande combusto per l’elettricità, il mio uccello sparò come un cannone sborra crepitante e roboante su per il freddo canale della Cosa. “Quattro, cinque, sei…” Willard continuava, mentre io sparavo senza soluzione di continuità, e le mie grida di sofferenza ed estasi risuonavano su nella tempesta. “Sei…uh…Willard barcollò. Uh...um...“ „Dieci!” gridai.”Dieci, debosciato! DIECI!!” Willard improvvisamente strappò il dildo dal culo. Sfrigolò nel suo palmo bagnato. Strillò per il dolore, gettandolo in un angolo buio della stanza dove scintillò e sibilò per qualche attimo, prima di spegnersi. L’uccello ebbe ancora uno spasmo, prima che io collassassi sopra la Cosa, con il mio cuore che batteva forte. L’acqua dal cielo si rarefece in una pioggerellina gentile che cadeva sulla mia schiena mentre Willard aspettava, smanettandosi in un angolo, in silenzio. “Vai fuori” gracchiai. Egli iniziò a blaterare qualche protesta che io zittii subito con il palmo della mia mano contro la sua faccia. Il suo pene raggrinzito lo condusse alla porta e via. Io, da solo, meritavo questo momento. Solo, avrei dato il benvenuto alla mia Creazione al Suo primo istante di vita. Tirai fuori il mio organo ancora tumefatto dal buco limaccioso della Cosa, e mi misi a cavalcioni delle Sue cosce solide, guardando, aspettando. Mi sdraiai sul suo petto ma non percepii alcun palpito. Gli tastai il polso ma non avvertii alcuna pulsazione. Il mio cuore annegò. Avevo fatto tutto per nulla? Avevano forse avuto sempre ragione i miei genitori? Le mie fantasticherie meri fantasmi di una mente malata? E allora, lo sentii. Un movimento nei miei lombi. Ma come? Ero completamente esausto, come mai prima, tuttavia il mio membro stava pulsando di vita propria. Fu solo quando esposi il mio corpo alla luce che proveniva dall’alto che mi avvidi della realtà. Non era il mio pene che stava crescendo ancora più lungo, duro e grosso. Era l’uccello della mia Creatura. Era vivo. 4 aprile 1889 La creatura dormì per tre giorni, svegliandosi solo durante brevi periodi di tempo in cui io fui in grado di alimentarlo con del brodo somministratogli per mezzo di un cucchiaio, come se si dovesse nutrire un infante neonato. Esso succhiava modeste quantità di acqua da una bottiglia di vetro con una soffice tettarella. Il quarto giorno, Esso inizio a muoversi ed io quindi lo provvedei di manette di cuoio solidamente attaccate ad una catena del più robusto acciaio, che poi ebbi cura di assicurare alla struttura di metallo del letto che avevo collocato nel laboratorio. Esso indossava un collare di pelle nera. Possedeva il viso di un angelo e il corpo di uno schiavo. Questa mattina feci scorrere per la prima volta dalla nascita la mano lungo il manico del suo pene. La Creatura ebbe una smorfia e cercò di sottrarsi impaurito quando lo toccai la prima volta, ma il cazzo ponderoso si indurì immediatamente e il bruto iniziò a spingere i fianchi seguendo il ritmo che imprimeva la mia mano. Gemette quando smisi. Gli carezzai il viso con gentilezza, tracciando i contorni del suo collo muscoloso con il dito indice, giù per il petto in mezzo ai potenti pettorali e attraverso l’addome. Baloccai con le dita sullo scroto grave, e senza preavviso, introdussi un dito nell’ano. La creatura si impennò e spalancò gli occhi. Boccheggiò come un cane e riprese il movimento di andirivieni delle anche quasi come tentasse di impalarsi sulla mia mano. Ritrassi ancora le mie dita, e la Creatura si lamentò, chiaramente frustrata, dibattendosi sul letto e procurando un fracasso terribile. E’ sollievo che nell’appartamento al piano inferiore non risieda alcuno. Liberandomi in fretta dei miei abiti, mi piazzai in piedi di fronte a lui, con una piena erezione. Esso mi guardò con un’espressione che rasentava l’adorazione –tuttavia potrebbe meramente essere il responso naturale di una creatura priva di memoria nei confronti dell’uomo che controlla tutte le Sue sensazioni – il Suo cazzo duro e rubizzo, che si arcuava certamente in cerca di soddisfacimento. Non protestò per nulla quando lo rigirai sullo stomaco. Mi meravigliai nell’osservare quella ampia schiena perfetta, (un manovale di Brixton) quelle anche e i fianchi stretti (un battitore di Eton), quel bianco culo burroso (un ballerino balcanico la cui turné finì ex abrupto in una squallido alberghetto di Soho). Quel corpo brillava per il sudore, ed io lo carezzavo nel modo in cui si conforta uno stallone spaventato. Mi misi a cavalcioni del culo della Creatura, premendo le ginocchia contro le anche, con l’uccello duro fra le chiappe. Esso spasimò, e indietreggiò all’insù con il culo per accogliere il mio uccello irrigidito. Con un solo colpo brutale, conficcai l’uccello in profondità nel suo buco di culo. Sgroppò con violenza, sfregando la nerchia contro le lenzuola. I muscoli del Suo ano afferrarono in una morsa il mio uccello e lo strizzarono così rudemente che io urlai ed esplosi, sparando il mio seme nel profondo delle Sue viscere. Per risposta uno strillo scappò dalla figura erculea che stava sotto di me e per un momento temetti di averlo danneggiato. Mi ritrassi e saltai giù dal letto. La creatura era percorsa da una vampa rosea che non avevo notato prima. Mi appressai ad Esso con cautela, e gentilmente lo rigirai sulla schiena. I capelli era madidi di sudore, gli occhi serrati. Osservai giù verso il suo palo, e mi rimase il fiato in gola. Il pene si era ridimensionato in uno stato di flaccidità impressionante. Il petto, l’area dell’inguine, e quindi anche le lenzuola al di sotto, erano intrise da un mare di sborra luccicante. Gli toccai l’uccello, testando la sensitività post-coito. La Creatura indietreggiò e gridò. Sorrisi, e lo toccai nuovamente, causando un altro urlo di afflizione. Lo toccai ancora, e ancora. Ogni volta gli stessi latrati di tortura. L’uccello mi si indurì stimolato. NOTA: Devo andare al passo, e non perdere la mia obiettività scientifica, per quanto difficile possa essere, data la deliziosa gamma di utilizzi cui potrei sottoporre questa creatura. Lasciandolo lì sul letto affannato e ansimante, mi girai e udii all’improvviso i rapidi passi di Willard nella stanza accanto. Una porta sbatté e lo sciocco tacchettò giù per le scale fino nella strada. Strano. Molto strano. Ma posso lavorare meglio senza che Willard mi distragga, il quale, sin da quando la Ceazione venne alla luce, è stato ringhioso e sul chi va là! Non ho avuto tempo di coccolarmelo, e lo punirò se persiste nella sua ostinazione. 16 Aprile 1889 L’alba si leva attraverso le tende sbrindellate di questo appartamento gelido, ma sarebbe potuta essere anche mezzanotte. Nei giorni scorsi (o forse settimane?), non mi sono mai avventurato fuori dalla porta, né mi sono posto domande sulle questioni che infiammano le menti delle greggi di umani che passano sotto le mie finestre. Willard è stato di pessimo umore per giorni. Si rifiuta di parlarmi, accende appena appena il fuoco e mi mette i pasti in tavola. Due giorni fa egli deliberatamente gettò un bicchiere per terra, frantumandolo in pezzi, poi mi guardò attento come per chiedere una punizione. In un certo qual modo l’ho accontentato: ho ignorato quello stupido ragazzo. Ho continuato a esplorare le regioni più basse della perversione sessuale con la mia Creazione. E’ uno schiavo sessuale di buona volontà, e sebbene abiti nel corpo solido e maturo di un adulto. Esso possiede la curiosità di un bimbo e la stessa disposizione ad imparare. Ed io ho così tanto da insegnargli. 17 aprile 1889 Svegliato al suono della Cosa che mugolava, e il lieve, e idiota riso di Willard nel laboratorio, senza preoccuparmi di vestirmi, strisciai attraverso l’appartamento mi apprestai ad aprire la porta per trovare il giovane imbecille nudo, che tormentava la Bestia facendo ondeggiare la sua nerchia rubizza a qualche centimetro dalla bocca di quello. Il bruto si affaticava tendendo le catene, lamentandosi mentre la sua lingua tentava disperatamente di gustare l’uccello proteso del ragazzo, e Willard rideva scioccamente, godendosi quel divertimento. Guardai per un momento, sentendo che i miei stessi lombi si eccitavano, ma la rabbia crebbe prima del mio cazzo, e mi propulse nella stanza. “Willard!” rombai tirando fuori dal mucchio di abiti accatastato sul pavimento la sua cinghia di cuoio. “Quante volte ti ho detto di non toccare il mio lavoro?” Feci oscillare la cinghia in un ampio arco, colpendo poi con uno schiocco di soddisfazione la pelle liscia delle sue spalle. Il giovane sciocco capitombolò via dalla Bestia, piagnucolando versi incomprensibili mentre continuavo a frustarlo, facendo piovere sul suo corpo nudo, colpo dopo colpo, sollevando colpi di sferza sulla muscolatura fibrosa dei bicipiti, delle cosce, e attraverso il suo uccello duro. Cadde a terra, arrancando via, e gli diedi un calcio finale cacciandolo fuori della stanza, affondando il mio piede tutto nel suo culo ben equipaggiato. Improvvisamente un’ombra strisciò su per il muro, ed io mi immobilizzai raggelato. Girandomi atterrito, vidi che la Creazione aveva, nella sua disperazione, avuto la meglio su di una delle catene che lo legavano al letto. Mi raggiunse con una mano muscolosa tremante per la furia non trattenuta. Cercai di emettere verbo. Certamente avrebbe dato retta alla voce del padrone. Ma non riuscii a sbloccare la lingua. La mano si avvicinava sempre più, e la bestia incollò i suoi occhi scuri con i miei. Ma dove avrei dovuto decifrare odio, lessi qualcos’altro. Qualcosa di strano. La sua mano afferrò il mio uccello. Mi sarei aspettato che me lo estirpasse dalla radice, ma con mia sorpresa, si avvinghiarono attorno al mio flaccido manico con una facilità quasi familiare, adoperandosi per farlo indurire. La Creazione guardò con curiosità al membro pulsante nella sua mano, un bimbo con un giocattolo, e si avvicinò piegandosi. Sniffò il glande liscio ed estese la lingua in un tentativo di toccarlo, poi lappò la gocciolina cristallina che era sgorgata in punta. Prima che osassi muovermi, aveva ingoiato il mio uccello con la bocca e lo aveva fatto scivolare in gola. La morte aveva rubato la sua gola del riflesso al rigurgito, per cui sarei stato risucchiato interamente se la Cosa non avesse sbattuto con il naso contro il mio inguine, facendolo scattare come un cucciolo di cane davanti ad uno specchio. Gli ci volle un attimo per considerare questo limite, e riprese a suggere, massaggiando con rapidi movimenti attraverso i forti muscoli della gola il fallo ingollato. Guardai la sua faccia, una maschera di soddisfazione, mentre poppava al mio inguine. Tuttavia ero ancora raggelato per la paura, sentii i miei nervi prudere per l’eccitazione, il preludio da brivido dell’abisso di passione nel quale questa innaturale copulazione mi attirava… Quando infine arcuai la schiena, gemetti e lanciai l’ultimo colpo duro, la Cosa non mi rilasciò, ma trattenne il mio uccello zampillante dentro la bocca, bevendo copiosamente sino a che il mio seme cessò di versarsi. Mi scossi incontrollabilmente e caddi in ginocchio. Ma prima di allora avevo sentito una simile esplosione, un orgasmo così puro e non adulterato. La luce danzava negli angoli della mia visuale, le gambe e le braccia erano intorpidite, la pelle in fiamme… La Bestia si sedette sui calcagni, guardandomi acuto in faccia. Un po’ del mio sperma bianco luccicava sul suo mento. Uso un dito libero per pulirlo via e lasciare che il filo dondolasse sopra la mia bocca aperta. Fece scendere il seme sulla lingua e ingoiò quello che era rimasto di me. Un sorriso gli attraversò la faccia.

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3 Gay Erotic Stories from Ron Oliver e Michael Rowe

Monster Cock, fine

21 Aprile 1889 Così stanco. In questi giorni, da quando ho dato un po’ di libertà limitata alla creatura, Esso ha ignorato qualsiasi mio tentativo di educarlo. Non ha dimostrato alcun interesse per i libri che io ho proposto; al contrario, li annusa, li lecca e poi li sfrega contro l’inguine. Non soddisfatto il bruto ha strappato in brandelli preziose prime edizioni per innaffiarne

Monster Cock, Part 1

Fu con qualche timore che entrai al Bull’s Head Tavern quella sera. Primo, certamente, perché se qualcheduno fra quell’accozzaglia di gentaglia e reietti sociali avesse guardato su dal boccale di birra da quattro soldi smettendo per un attimo di lamentarsi della propria vita disgraziata, avrebbe potuto riconoscere il mio volto ( è uno degli inconvenienti inevitabili quando uno

Monster Cock, Part 2

20 marzo 1889 Per tutta la notte fui torturato da sogni di terrificanti voci spettrali che invocavano sangue, e mi risvegliai la mattina seguente tremando per il freddo e l'umidità. Ritornando dai suoi vili baccanali notturni di bevute e mignottate Willard non si era occupato del fuoco, e il carbone dietro la grata si era spento. Imprecando, scossi quello stupido ragazzo e mentre

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