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L’Anello e l’Uncino

by Lenny Bruce


L’anello e l’uncino Era una notte d’agosto, calda e umida. Un fuoco ardeva al centro della radura, circondata da alberi altissimi. La radura era al centro di un bosco grandissimo, sconfinato. Il castello più vicino distava due giorni di cammino. I cavalieri erano giunti nel pomeriggio. Erano tutti molto giovani e avevano facilmente fraterniz-zato, alcuni già conoscendosi, altri entrando subito in confidenza. Si erano preparati per la cerimonia il cui inizio era fissato per la mezzanotte. Il novizio giunse accompagnato da due uomini che ne guidavano i passi, tenendolo per le braccia. Era alto e aveva capelli neri. Il suo volto giovane era ancora completamente senza barba. Una tuni-ca, stretta ai fianchi da una corda, lo copriva fino ai piedi. Un largo nastro nero lo bendava ed un altro gli le-gava i polsi. I due uomini che lo stavano guidando erano nudi, muscolosi e tanto biondi da sembrare albini. Erano solo un poco più anziani del ragazzo, che, incapace di vedere, si muoveva con passo incerto, seguendo il passo delle sue guide nella radura. I dieci attorno al fuoco erano nudi, seduti a cerchio. Ciascuno di loro non aveva più di vent’anni, tranne il Maestro che pareva di qualche anno più vecchio. Ciascuno aveva un anello d’oro infilato nel capezzolo sinistro ed un marchio sul pettorale destro, rappresentante la lettera lambda attraversata da una spada. Erano tutti soldati e uomini d’onore, membri di una società segreta, devota al culto del corpo maschile. Il giovane ancora vestito e legato sarebbe stato iniziato quella notte. I due guardiani lo guidarono fino a lasciarlo in piedi tra due alberi. Uno di loro aveva un coltello con cui tagliò il nastro che legava i polsi dell'uomo bendato. Gli sollevarono le braccia in modo che le mani quasi toccassero il tronco degli alberi e con delle corde, che avevano sistemato prima, gli legarono saldamente i polsi. Tirarono le corde fino a fargli tendere le braccia, poi gli allargarono le gambe, per legargli le caviglie alla base dei tronchi. Così immobilizzato gli sarebbe stato impossibile scappare, anche se l’avesse voluto. ,a lui era più che certo della sua decisione, perché sapeva che dopo le sofferenze di quella notte, avrebbe avuto per tutta la vita la devozione degli altri confratelli e soprattutto i loro corpi. S’alzò il Maestro. Andò al centro del cerchio, girò attorno al fuoco e si pose davanti al novizio. La sua voce suonò autoritaria. “Svevo, desideri diventare membro della Setta?” “Si! Lo desidero.” “Allora ripeti il giuramento di lealtà e fede.” Il Maestro recitò il giuramento e lui lo ripeté in ogni parte con voce solo un po’ tremante. “Io, Svevo, con puro cuore e intelletto, solennemente giuro, in presenza dello spirito della Terra e dei miei compagni, che, una volta completata la mia iniziazione, io servirò devotamente come membro della Setta, offrendo il mio corpo ai miei compagni e condividendo i loro corpi, senza alcuna remora, in qualunque momento, finché non accada che io muoia.” “Molto bene” disse il Maestro “L’iniziazione incominci.” Uno degli ragazzi seduti fece suonare un gong e il fragore spaventò gli uccelli nel bosco. Un guar-diano si spostò dietro al novizio, gli afferrò la tunica e con un coltello la tagliò, strappandogliela. Poi gli sciol-se il laccio che reggeva le brache. Insieme all’altro ne afferrò un lembo e gliele strapparono, lasciandolo nu-do. Poi raccolsero i vestiti laceri e li lanciarono nel fuoco. Le fiamme li distrussero in pochi minuti. Il primo guardiano portò davanti a Svevo una tavola su cui erano disposti un calice di cristallo, un sottile uncino d’argento, un piccolo anello d’oro, due scudisci ed un ferro da marchio a forma di lambda. C’erano anche una boccetta d’olio, un rasoio, un catino d’acqua ed un anello di ferro. L’altro guardiano afferrò il cazzo di Svevo e passò più volte l’anello di ferro lungo l’asta e sulla cap-pella. Svevo ebbe un brivido al contatto col metallo e il suo uccello si allungò fino a raggiungere il pieno della sua erezione. Il guardiano gli bloccò l’anello alla base del cazzo, impedendo così al sangue di rifluire, la-sciandolo in una dolorosa, lunga, interminabile erezione. “Svevo” disse allora il Maestro “tu stai per sottoporti alla stessa iniziazione alla quale ciascuno di noi si è sottomesso. Verrai purificato e berrai, poi sarai frustato e riceverai i segni della setta. L’anello e il mar-chio. Tutto questo ti sarà fatto mentre tu soffrirai la tua ininterrotta e dolorosa erezione.” Uno dei guardiani bagnò Svevo sotto le ascelle, sul pube e sul torace. Poi lo rase completamente. Quando fu totalmente glabro a parte i capelli, l’altro si unse le mani d’olio e prese a strofinarlo ovunque. Co-minciò con le braccia, poi sul collo e sul capo. Scese alle spalle, al torace, sfregò i capezzoli, il ventre. S’insinuò fra le natiche, violandolo ripetutamente, mentre Svevo si contorceva per la sofferenza che fu pre-sto mista a piacere. Poi scivolò sulle gambe, fino ai piedi e finalmente strofinò d’olio anche il cazzo, sempre più dolorosamente duro. Il ragazzo, ormai completamente cosparso d’olio, brillava alla luce del fuoco. Il guardiano continuò a masturbarlo fino ad un orgasmo che scosse le spalle del ragazzo in spasmi dolorosi. Il seme fu raccolto nella coppa di cristallo. Il calice fu quindi passato ad uno dei confratelli, un ragazzo che leccò avidamente sul vetro ogni goccia del succo versato da Svevo. Poi si inginocchiò al centro del cerchio e cominciò a masturbarsi, eiacu-lando subito nella coppa. Poi attese che il cazzo perdesse un poco del proprio turgore e pisciò fino a riem-pirla. “Bevi, Svevo, come noi abbiamo bevuto” disse il guardiano avvicinandogli la coppa. Svevo aprì la bocca e quello gli alzò il calice fino alle labbra. Ingoiò tutto con disperazione, lottando per non soffocare, fin-ché tracannò l’intero contenuto. Tossì e si calmò. Due lacrime gli sfuggirono dagli occhi. Il primo guardiano prese uno scudiscio e cominciò a percuotere Svevo lentamente, affinché, pur sentendo ogni colpo, il dolore non lo stordisse. Le frustate bruciavano tanto da fermare il respiro di Svevo, ma non lasciavano ancora tracce sulle sue spalle. Poi il guardiano cominciò a percuoterlo davanti e i colpi si fecero più pesanti, tanto da segnargli gli addominali di righe rosse. Scese poi a colpirgli direttamente il caz-zo. Al primo colpo sull’uccello, Svevo sobbalzò violentemente, tentando di spostarsi indietro per sottrarsi al dolore. Allora il secondo guardiano prese l’altra frusta e cominciò a colpirlo sulle natiche. Svevo si contorse, cercando, per quanto possibile di attutire l’impatto dei colpi che riceveva davanti e da dietro. Il suo cazzo era sempre duro e svettante, teso, arcuato verso l’alto e l’erezione era dolorosa, sia per i colpi crudeli che si ab-battevano ora con più forza e assiduità, sia per l’anello che forzava alla base delle palle. Svevo cominciò a lamentarsi, i colpi rallentarono, ma non cessarono. Poi il primo guardiano, quello che lo colpiva davanti, ripose lo scudiscio e il secondo si fermò. “Ora devi conoscerci” disse e riprese a colpirlo sulle natiche. Furono dodici orribili colpi. E dopo ognuno ciascun membro della setta gridò il proprio nome. Allora si alzò il ragazzo che aveva eiaculato e pisciato poco prima. Prese dal guardiano lo scudiscio e si pose davanti a Svevo: “Guardami! Accetti quello che ti stiamo facendo?” “Si” mormorò Svevo, sollevando il capo. Aveva la gola secca e il corpo dolorante. Avrebbe detto di si a tutto ormai. “Accetti che io ti colpisca?” “Si.” “Riconosci la disciplina, l’ordine e la gerarchia della Setta? Vuoi che ti colpisca?” “Si, io lo voglio!” A quest’ultima risposta Alessio, questo era il suo nome, lo colpì violentemente sul ventre, strappan-dogli un grido che risuonò nella foresta. “Ricevendo questi colpi, riconosci la mia autorità su di te. Sei mio schiavo e schiavo di tutti noi!” E lo colpì ancora tre volte, con tutta la forza che aveva. Svevo urlò ad ogni colpo. Poi Alessio gli ba-ciò l’addome, dove l’aveva colpito, e tornò al suo posto. Le fruste furono riposte e il primo guardiano prese l’uncino d’argento. Lo tenne nel fuoco abbastanza per purificarlo, poi l’avvicinò al petto di Svevo e lo premé dall’alto contro il capezzolo sinistro. Svevo ebbe un tremito, ma rimase senza fiato quando l’uncino cominciò a trapassargli la punta del capezzolo. Svevo tentò di arcuare il copro per sfuggire a quella tortura, ma era legato troppo strettamente per spostarsi. Quanto l’uncino forò la pelle trapassando da parte a parte la carne, Svevo non riuscì più a trattenersi e urlò con quanto fiato aveva in gola. L’uncino su sfilato e lui ebbe un gemito, mentre un rivolo di sangue scivolava sui sul petto. Il secondo guardiano prese il piccolo anello d’oro e lo passò lentamente nel buco che forava il ca-pezzolo. Ora che anche quel segno era sul suo corpo, Svevo fu lasciato da solo a riposare e riprendersi per qualche minuto. Il peggio doveva ancora venire. Dopo poco, infatti, il primo guardiano prese il ferro per il marchio e lo pose nel fuoco ad arroventarsi. I confratelli spostavano lo sguardo dalla brace che lentamente rendeva rosso e rovente il ferro a Svevo che, sempre crocifisso, pareva essersi assopito. Il guardiano controllò che il ferro fosse diventato incandescente e quando gli parve pronto l’afferrò, sollevandolo, perché tutti lo vedessero e specialmente Svevo potesse capire e attendere con terrore ciò che stava per subire. Con un movimento lento, si volse a Svevo e gli impresse il marchio sul petto, sopra il capezzolo de-stro. Quello che stava subendo era più di quanto potesse sopportare e anche troppo più di ciò che si aspettava. Gridò e l’urlo fu così forte che lo si sarebbe potuto ascoltare molto lontano, se qualcuno si fosse trovato nelle vicinanze. Tutti i suoi muscoli si tesero e poi ricadde, svenendo. Solo allora il guardiano allonta-nò il ferro. Il secondo si avvicinò con un medicamento per lenire il dolore e lo strofinò con delicatezza sul petto ferito. Poi lo sciolsero, allentando le corde e lo posarono sull’erba con delicatezza. Trascorsero minuti, ore, giorni, un tempo che non seppe mai. Ma si svegliò che era ancora notte, quella stessa notte. La voce del Maestro lo chiamava. Lo sentì parlare: “Sei dei nostri, Svevo, un membro della setta” poi a voce più alta, perché tutti lo sentissero “Sei parte delle nostre delizie.” Quelle furono parole magiche. Ciascuno degli uomini si volse verso il proprio vicino e gli prese il cazzo in bocca. Svevo fu presto quello che ricevette le maggiori attenzioni. I due guardiani e il ragazzo che l’aveva frustato gli si fecero attor-no. Alessio iniziò a succhiargli il cazzo, mentre i due guardiani l’accarezzavano. Uno gli leccò il buco, mentre l’altro lo baciava in bocca. Poi lo fecero stendere per terra e per qualche minuto si disposero a quadrilatero ciascuno succhiando il cazzo dell’altro. Svevo alzò lo sguardo e vide che una scena simile si svolgeva fra tutti gli altri adepti attorno al fuoco. Uomini che succhiavano, che toccavano, strofinavano, mordevano i capezzoli, accarezzavano, leccando e violando, con la lingua e con gli uccelli gli altri uomini. L’orgia continuò per un tempo indefinito. Tutta la notte. E Svevo venne nella bocca e nel culo di Alessio e quello fece lo stesso con lui. A turno i guardiano violarono Svevo che si sottomise ai suoi torturatori. Quando sorse l’alba gli uomini si allontanarono per tornare alle loro dimore. Presto la setta sarebbe tornata ad incontrarsi per celebrare l’iniziazione di un nuovo seguace. Due to international translation technology this story may contain spelling or grammatical errors. To the best of our knowledge it meets our guidelines. If there are any concerns please e-mail us at: CustomerService@MenontheNet

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