Gay Erotic Stories

MenOnTheNet.com

Arturo

by Moraldo@katamail.com


Vorrei raccontare una storia che mi accadde qualche anno fa, ma che mi torna spesso alla mente, come un pensiero piacevole che inquadra tutta la mia gioventù. Allora, - più di dieci anni son passati ormai – andavo spesso a riposarmi qualche tempo al mare, in una casetta che i miei nonni mi avevano lasciato alle Cinque Terre. Diciamo che la zona era tranquilla – forse anche troppo! – ma mi attirava perché potevo coltivare uno dei mie passatempi preferiti: il naturismo. C’è una piccola spiaggia – chiamare spiaggia quel fazzoletto di sabbia strizzato fra i dirupi della montagna e gli scogli del mare, mi sembra troppo, ma in Liguria quella si può anche chiamare spiaggia! –vicino a Coniglia, dove si può praticare il nudismo. Il posto è frequentato soprattutto da stranieri, tedeschi, danesi, francesi e qualche inglese meno timido, ma ogni tanto si scopre anche qualche italiano! Insomma mi piaceva sgranocchiarmi tutto il giorno quei corpi: i miei occhi navigavano soprattutto su quelli possenti e pelosi! Poi alla sera, rievocando quegli uomini, mi segavo l’uccello fino a che, stremato, mi sembrava che cadesse a pezzi. Le seghe erano allora l’unico modo che avevo di avvicinare il sesso. Sta di fatto che, nonostante avessi ventitre anni ancora non avevo avuto rapporti sessuali con nessuno. O si certo mi ero consumato gli occhi e le mani – beh, in parte è vero che a farsi raspe si diventa cechi – guardando giornaletti porno, videocassette, e spiando in spiaggia gli uomini più focosi e pelosi che riuscivo a notare, ma non appena si trattava di avvicinare qualcuno per fare del sesso – e di occasioni ne avevo avuto, perché dai, che ti ridai anche se non sei Raul Bova qualcuno per scopare lo trovi sempre! – mi si ammosciava l’uccello come un goldone usato. Perdevo l’eccitazione e non mi interessava neanche dar piacere ad altri attraverso il mio corpo. Ma insomma ritorniamo alla storia. Quell’estate qualcuno affittò la casetta vicino a quella dove io stavo. C’era una mammina cordiale e due bei bimbi vispi; ma il pezzo forte arrivò soltanto il fine settimana dopo l’arrivo degli altri: un uomo sulla quarantina, con un bel pizzetto curato, capelli scuri e corti, due occhi da diavolo e un corpicione sensuale, a dir poco. Quando lo vidi la prima volta, con le braghette del costume che si prendeva il sole nel giardino accanto al mio, il mio uccello reagì prima – ma molto prima - del mio cervello; si indurì, si intestardì: voleva assaporare le carni di quel manzotto peloso, che docile si stava prendendo l’aria. Dovetti correre in casa a farmi tre o quattro seghe, pensando solo di passare le mani su quel petto massiccio e setoso per i peli. Presto feci conoscenza con Arturo – così si chiamava – e scoprii che oltre ad essere un gran tocco di uomo, come ormai non ne fanno più, era simpatico e travolgente, alla mano nei suoi modi di trattare con gli altri. Insomma, ci volle poco perché io gli confessassi il mio hobby – il naturismo, non il segaiolismo! – e curioso e porcello – mi parve, e mi parve bene!- mi chiese di accompagnarlo alla spiaggia “del peccato”! Ovviamente, non potei dire di no perché quando stavo con lui era il mio uccello a parlare non il mio cervello! Ma la cosa mi pareva strana: nel senso che forse, non immaginavo neanche lontanamente che io e lui insomma … potessimo…consumare e allora per una qualche contorcimento del mio cervello il mio uccello rimaneva duro in sua presenza. Accadde che l’occasione per andare alla spiaggia si presentò, quando sua moglie andò a La Spezia per fare compere. Arturo dopo essere andato alla stazione ad accompagnarli venne a bussare alla mia porta e mi propose di scendere alla spiaggia. Volammo giù per gli stretti sentieri. Sfortunatamente quella mattina, non c’era quasi nessuno solo qualche vecchia tedesca con le mammele che sbattacchiavano contro la pancia gonfia, assieme ai suoi bambini. Tuttavia, il mio uccello traditore, rimaneva dritto, dritto, ed io, per la vergogna, sarei apparso rosso come un’gambero alla griglia, se non fosse stato per l’abbronzatura che avevo ormai preso da giorni. Arturo sembrò subito a suo agio; non disse nulla della mia perenne erezione, e si spogliò senza timidezza. Non appena ebbe sotto gli occhi il suo cazzo, non potei più staccarli da lì: era grosso, lungo e e perfettamente incorniciato da una foresta di riccioli neri che più folti intorno all’asta, diradavano sulle cosce, fino a diventare di nuovo numerosi, nello spacco del culo tondo e sui coglioni a mandorloni. Sembrava non accorgersi di me, ma subito sembrò annoiato da quella situazione: credeva fosse qualcosa di più eccitante.” Sai – gli dissi – siamo in provincia!” Dopo un’oretta tornammo su a casa. Io ero un po’ deluso da quella passeggiata ma, non appena arrivati, vidi nei suoi occhi una luce strana che mi inquietò un po’. Entrò con me in casa mia, e si accomodò sul divano iniziando a parlarmi con tono arrogante, dicendomi che ormai ero in trappola. Io non parlavo, ma il mio uccello, da sotto la tela dei pantaloncini, urlava, si sbracciava faceva di tutto per attirare l’attenzione: aveva capito prima di me che cosa sarebbe successo. Arturo mi disse che era palese che io lo desideravo, che non gli importava se io ero frocio, ma che lui era curioso, voleva “sperimentare”. Sul tipo di sperimentazione, non potevano esserci dubbi in quel momento. Mi sedetti sul divano accanto a lui quasi mesmerizzato dalle sue parole e gli diedi un bacino sulla guancia. Lui si inginocchiò sul pavimento in mezzo alle mie cosce e…ovviamente tutti i complessi, gli scrupoli che mi ero portato dietro fino ad allora furono spazzati via dal ghigno complice che mi regalò. Per la prima volta in vita mia, feci fare al mio cazzo: e non me ne pentii. Mi levò i calzoncini e là sull’attenti il mio uccello apparve, in mezzo alle cosce pelose. Lui respirava profondamente e mi pareva di sentire il suo cuore battere. Mi chiese di stendermi sulla pancia e di chiudere gli occhi per alcuni secondi. Sentii dei frusci di stoffe, e quando mi disse di girarmi e di riaprire gli occhi lui stava di nuovo nudo davanti a me: ma questa volta il cazzo si ergeva in mezzo alla massa delle cosce come la torre di Babele. Senza che me ne accorgessi si inginocchiò di nuovo fra le gambe, e iniziò a toccarmi l’uccello con la devozione e la premura di chi si appressa ad una santa reliquia. Io esplosi nel suo viso, non appena il suo alito mi sfiorò il glande scoperto e teso. Gli bagnai gli occhi, le ciglia, i baffi, la barbetta. Era il più bell’orgasmo della mia vita, e non solo per la potenza con cui mi squassò le membra, ma anche per il fatto che finalmente ero venuto davanti ad un altro uomo. Ero al settimo cielo. Quando mi ripresi, e scesi giù dalle vette, notai che Arturo, più sorpreso che deluso, osservava lo sperma che gli impiastricciava i peli del petto, e leccava a destra e a sinistra della bocca, dove lo sperma si era appoggiato. Sembrava un bimbo che tenero recuperasse con la lingua i resti di un dolce appena ingollato. Io lo desideravo, e desideravo il suo corpo anche più di prima. Lo baciai sulla bocca, e credei che mi strappasse la lingua a morsi dalla foga che ci mise nello slinguarmi il palato. Il mio uccello era di nuovo a mezz’asta mentre il suo non era mai sceso: mi batteva sul petto imbrattandolo di umori viscosi. Mi passarono in quel momento per la testa degli strani pensieri: “ma come con un uomo sposato? E la sua famiglia? La sua mogliettina simpatica i suoi pargoli adorabili? E poi lui ti userà di certo e poi un calcio e via!” Ma poi il mio uccello, ancora una volta, prese il sopravvento. Ormai ero suo, chi se ne fregava dello stato sociale: se andava bene a lui. Cosa me ne importava del futuro: il godimento era l’unico passato, presente e futuro che contava. Il suo uccello colava ed era questo quello che contava. Lui si adagiò sul tappeto a gambe larghe, ed io iniziai a massaggiargli le natiche villose, dure come pietra ed insieme soffici per il pelo. Gli allargai le chiappe mettendo in mostra il ciuffetto peloso che stava intorno al suo buchetto del piacere. Mentre lo palpavo in quel modo, mi complimentavo e lo rimproveravo per il fatto che un simile tesoro di maschia bellezza fosse stato, fino a quel momento riservato solo alle donne: lui sorrideva. Si alzò e con una mossa furba mi ritrovai io sulla schiena a gambe larghe, mentre lui iniziò a divorare il mio orifizio del diletto. Subito mi innondò il piacere e mentre lui mi teneva per i polsi, gemevo e schiacciavo il mi culo contro la sua bocca. La sua barba ispida mi pungeva: io godevo e soffrivo nello stesso momento. Ero arrivato al parossismo del godimento fisico e un accenno di sofferenza mi eccitava ancora di più. Poi salì con la bocca su per le mie palle, e ancora più su fino all’asta, e poi su ancora con le labbra bavose ingoiò il mio uccello unto di sperma e di altri succhi. Poi colto come da un’improvvisa malvagità, si staccò dal mio cazzo e giù con la lingua di nuovo fra le cosce. “Voglio il tuo culo, voglio il tuo culo, voglio il tuo culo!” bofonchiava, e tornava a umettarmi l’ano con la lingua: lo baciava, lo limonava, lo penetrava, lo apriva! Io non riuscivo più a pensare a nulla e presi il mio cazzo in mano e iniziai a segare. Tutto in me era teso, il retto, la nerchia, i capezzoli, le labbra. Arturo se ne era accorto perché iniziò a succhiarmi, con malizia, tutte le mie “tensioni”: due baci, due succhiate e via. Giunse alle mie labbra e mi baciò ancora. Mi sussurrava oscenità con una voce calda che mi faceva ammattire: “Basta, urlavo, basta, voglio venire, voglio venire” “Non ancora” – mi rispondeva ridacchiando. Arturo mi aperse un po’ il buchetto con le mani, e iniziò a fare girare un dito intorno allo sfintere, lieve come una piuma e snervante come una cicala che gracchia nella calura estiva. Io cercavo di aprire le cosce ancora di più di quanto già non fossero, tentando di farmi penetrare da qualcosa. Ma lui continuava solo a carezzare, sfiorare, picchiettare con le dita grosse. Si staccò da me, infine, e mentre io continuavo a masturbarmi, anche lui inziò a segarsi osservandomi. Mi chiese, anzi mi ordinò di non toccarmi più e di mettermi a pecorina. Io obbedii non senza fatica, ma sapevo che mi avrebbe aspettato un piacere ancora più grande. Sentii di nuovo che le sue dita, umide esploravano il mio buco, aperto ormai dalla foia. Poi all’improvviso un dito mi penetrò. Subito il mio sfintere si ritrasse, ma Arturo iniziò a massaggiarmi con garbo, mentre mi parlava con dolcezza e impudicizia assieme. Mise dentro un secondo dito, e poi non appena io emisi un urletto anche un terzo dito. Non sapevo più se godevo o soffrivo. Ero solo consapevole del fatto che non volevo che smettesse. Anzi urlai.”Carogna fottimi, cosa aspetti, frocio!” Lui non mi fece più aspettare, mi si parò davanti e mi ficcò l’intero cazzo in gola. Senza pietà alcuna. Io fra un po’ gli vomitai addosso. Mi aggrappai al respiro, attraverso il naso, e iniziai a succhiare avido, mentre lui mi scopava la bocca. Lo poppavo come se mi desse il latte la mia mamma. Quando mi sfilò il bastone dalla bocca, sentii il vuoto che invase le mie fauci. Ma quasi non me ne accorsi perché infine Arturo mi penetrò. Soffrii, lo ammetto. Anche se ormai completamente aperto il buco era ancora troppo stretto per quel genere di mostro. Dopo tutto era la prima volta per me. Spinse la cappella grossa tra le pieghe del mio sfintere ed io percepii come uno strappo. Arturo si fermò un momento e poi proseguì imperterrito.Mentre mugghiava io urlavo ad ogni centimetro di carne che sentivo avanzare. La confusione fra il dolore e il piacere era totale: godevo, si godevo e percepivo anche il dolore, ma come qualcosa lontano, lontano. Ovattato dal piacere, non sentivo più nulla che non fosse il suo uccello che mi sbatteva le viscere, o il suo torace morbido che si appiccicava alla mia schiena, o le sue braccia che mi stringevano e mi schiacciavano. Ma tutto assieme, tutto mescolato. Io non ero più in me volevo essere dilaniato, sventrato. Fra un gemito e l’altro urlavo ad Arturo di rompermi, di spaccarmi di sgozzarmi se voleva. Desideravo la sua violenza e la sua prepotenza. Il mio uccello libero dalla vergogna rimaneva duro. Poi Arturo urlò, e l’urlo gli si strozzò in gola mentre il suo seme si riversava nelle mie viscere. Mi colpiva ancora, ma io mi svincolai con abilità e gli presi il mostro in gola, mentre mi segavo a più non posso. L’orgasmo arrivò come una liberazione, come se mi fossi librato sopra la mia materia corporea. Mentre venivo per la seconda volta davanti ad un uomo, pulivo quell’uccello che tanto mi aveva fatto godere. Non sono più ritornato alla spiaggia dei nudisti, ma poco importa: da quella volta non tradii più il mio uccello e lui non tradì più me di fronte ad un uomo.

###

2 Gay Erotic Stories from Moraldo@katamail.com

Arturo

Vorrei raccontare una storia che mi accadde qualche anno fa, ma che mi torna spesso alla mente, come un pensiero piacevole che inquadra tutta la mia gioventù. Allora, - più di dieci anni son passati ormai – andavo spesso a riposarmi qualche tempo al mare, in una casetta che i miei nonni mi avevano lasciato alle Cinque Terre. Diciamo che la zona era tranquilla – forse anche troppo! –

L'Orso Buono e L'Orso Cattivo

L'orso buono e l'orso cattivo. moraldo@katamail.com Ho conosciuto l'orso buono e l'orso cattivo nella maniera più banale del mondo: mettendo un annuncio. Banale il contatto ma non la vicenda, almeno per me. Dopo i primi scambi di convenevoli ho ricevuto delle foto. Non che abbia poco apprezzato le fotografie con il salto della cavallina, ma la visione che più ha colpito la mia

###
Popular Blogs From MenOnTheNet.com

Please support our sponsors to keep MenOnTheNet.com free.

Web-04: vampire_2.0.3.07
_stories_story